Credere in Cristo e nella Chiesa

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Chi è cristiano è nella Chiesa Cattolica, sotto l'autorità del Santo Padre e dei vescovi


    "Principii e norme per l'uso del Messale Ambrosiano"

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    Messaggio Da enricorns2 Gio Set 08, 2016 11:50 pm

    PROEMIO

    1. La peculiare natura del rito ambrosiano - determinata dall'indole propria della sua tradizione e del suo originale patrimonio, arricchito oggi e riordinato alla luce degli insegnamenti del concilio vaticano II - richiede che si premetta a questo messale una propria "istruzione" generale. Tuttavia i principi dottrinali e molte disposizioni dell'istituzione generale del messale romano, recentemente pubblicato, convengono anche al rinnovato messale del rito ambrosiano e vi si applicano in modo così appropriato che si è giudicato opportuno desumere alla lettera molta parte della medesima "istruzione".

    2. Appressandosi a celebrare con i suoi discepoli il banchetto pasquale, nel quale istituì il sacrificio del suo corpo e del suo sangue, Cristo Signore ordinò di preparare una sala grande e addobbata (Lc 22,12). Quest'ordine la Chiesa l'ha sempre considerato rivolto a se stessa, quando dettava le norme per preparare gli animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la celebrazione dell'eucaristia. Anche le presenti norme, stabilite seguendo le direttive del concilio ecumenico vaticano II, come anche il nuovo messale, che la Chiesa di rito ambrosiano userà d'ora innanzi per celebrare la messa, sono una prova di questa sollecitudine della Chiesa, della sua fede e del suo amore immutato verso il grande mistero eucaristico, e testimoniano la sua continua e ininterrotta tradizione, nonostante vi siano state introdotte alcune novità.

    Testimonianza di una fede immutata

    3. La natura sacrificale della messa, solennemente affermata dal concilio di Trento (1), in armonia con tutta la tradizione della Chiesa, è stata riaffermata dal concilio vaticano II, che ha pronunziato, a proposito della messa, queste significative parole: "Il nostro Salvatore nell'ultima cena... istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e di affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione"(2). Questo insegnamento del concilio lo si ritrova costantemente nelle formule della messa. Dice il Sacramentario Leoniano: "Ogni volta che celebriamo il memoriale di questo sacrificio, si compie l'opera della nostra redenzione"(3); ebbene, la dottrina espressa con precisione in questa frase è sviluppata con chiarezza e con cura nelle preghiere eucaristiche: in queste preghiere, quando il sacerdote fa l'anamnesi, rivolgendosi a Dio in nome di tutto il popolo, gli rende grazie e gli offre il sacrificio vivo, santo, cioè l'oblazione della Chiesa e la vittima per la cui immolazione Dio ha voluto essere placato(4), e prega perché il corpo e il sangue di Cristo siano un sacrificio accetto al Padre per la salvezza del mondo intero(5). Così, nel nuovo messale, la regola della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua costante regola di fede; questa ci dice che, fatta eccezione per il modo di offrire, che è differente, vi è piena identità tra il sacrificio della croce e la sua rinnovazione sacramentale nella messa, che Cristo Signore ha istituito nell'ultima cena e ha ordinato agli apostoli di celebrare in memoria di lui; e per conseguenza, la messa è insieme sacrificio di lode, d'azione di grazie, di propiziazione e di espiazione.

    4. Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore sotto le specie eucaristiche è affermato dal concilio vaticano II (6) e dagli altri documenti del magistero della Chiesa, (7)nel medesimo senso e con la medesima dottrina con cui il concilio di Trento l'aveva proposto alla nostra fede (Cool. Nella celebrazione della messa, questo mistero è posto in luce non soltanto dalle parole stesse della consacrazione, che rendono il Cristo presente per mezzo della transustanziazione, ma anche dal senso e dall'espressione esterna di sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto oggetto nel corso della liturgia eucaristica. Per lo stesso motivo, al giovedì santo e nella solennità del corpo e del sangue del Signore, il popolo cristiano è chiamato a onorare in modo particolare, con l'adorazione, questo ammirabile sacramento.

    5. Quanto alla natura del sacerdozio ministeriale, che è proprio del presbitero, in quanto egli offre il sacrificio nella persona di Cristo e presiede l'assemblea del popolo santo, essa è posta in luce, nell'espressione stessa del rito, dal posto eminente del sacerdote e dalla sua funzione. I compiti di questa funzione sono indicati e ribaditi con molta chiarezza nel prefazio della messa crismale del giovedì santo, giorno in cui si commemora l'istituzione del sacerdozio. Il testo sottolinea la potestà sacerdotale conferita per mezzo dell'imposizione delle mani, e descrive questa medesima potestà enumerandone tutti gli uffici: è la continuazione della potestà sacerdotale di Cristo, pontefice sommo della nuova alleanza.

    6. Questa natura del sacerdozio ministeriale mette a sua volta nella giusta luce un'altra realtà di grande importanza: il sacerdozio regale dei fedeli, il cui sacrificio spirituale raggiunge la sua perfezione attraverso il ministero dei presbiteri, in unione con il sacrificio di Cristo, unico mediatore (9). La celebrazione dell'eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa; in essa ciascuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli compete, tenuto conto del posto che egli occupa nel popolo di Dio. E' il motivo per cui si presta ora una maggiore attenzione a certi aspetti della celebrazione che, nel corso dei secoli, erano stati talvolta alquanto trascurati. Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal sangue di Cristo, riunito dal Signore, nutrito con la sua parola; popolo la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana; popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il suo sacrificio; popolo infine che, per mezzo della comunione al corpo e al sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è già santo per la sua origine; ma in forza della sua partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico, progredisce continuamente in santità (10).

    Prova di una tradizione ininterrotta

    7. Nell'enunciare le norme per la revisione del rito della messa, il concilio vaticano II ha ordinato, tra l'altro, che certi riti venissero "riportati all'antica tradizione dei santi padri" (11): sono le stesse parole usate da san Pio V nella costituzione apostolica Quo primum, con la quale, nel 1570, promulgava il messale di Trento. In tempi davvero difficili, nei quali la fede cattolica era stata messa in pericolo circa la natura sacrificale della messa, il sacerdozio ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo sotto le specie eucaristiche, a san Pio V premeva anzitutto salvaguardare una tradizione relativamente recente ingiustamente attaccata, introducendo il meno possibile di cambiamenti nel sacro rito. E in verità, il messale del 1570 si differenzia ben poco dal primo messale stampato nel 1474; e questo, a sua volta, riprende fedelmente il messale del tempo di Innocenzo III. Allo stesso modo il messale ambrosiano del 1594 non molto si differenzia dal messale stampato nel 1475, avendo tuttavia attinto non poco dal messale di san Pio V.

    8. Attualmente, però, questa "tradizione dei santi padri", che è stata tenuta presente dai revisori responsabili del messale di san Pio V, si è potuta arricchire per l'opera di innumerevoli studi di eruditi. Dopo la prima edizione del sacramentario gregoriano nel 1571, gli antichi sacramentari romani e ambrosiani sono stati oggetto di numerose edizioni critiche; lo stesso si dica degli antichi libri liturgici spagnoli e gallicani. E così il messale ambrosiano del 1609 stampato per ordine del cardinale arcivescovo Federico Borromeo riporta assai fedelmente gli esemplari più antichi; una fedeltà ancora più grande ai testi antichi si ritrova nel messale edito nel 1902 per odine del cardinale arcivescovo Andrea Carlo Ferrari. Tutto questo aveva fatto riscoprire numerose preghiere fino allora ignorate, ma di non poca importanza per la vita dello spirito. Data poi la scoperta di un buon numero di documenti liturgici, sono pure, attualmente, meglio conosciute le tradizioni dei primi secoli, anteriori alla formazione dei riti d'Oriente e d'Occidente. Inoltre, il progresso degli studi patristici ha permesso di appurare la teologia del mistero eucaristico attraverso l'insegnamento di padri eminenti nell'antichità cristiana, come sant'Ireneo, sant'Ambrogio, san Cirillo di Gerusalemme, san Giovanni Crisostomo.

    9. La "tradizione dei santi padri" esige dunque che non solo si conservi la tradizione trasmessa dai nostri predecessori immediati, ma che si tenga presente e si approfondisca fin dalle origini tutto il passato della Chiesa e si faccia un'accurata indagine sui modi molteplici con cui l'unica fede si è manifestata in forme di cultura umana e profana così diverse tra loro, quali erano quelle in uso nelle regioni abitate da Semiti, Greci e Latini. Questo approfondimento più vasto ci permette di constatare come lo Spirito santo accordi al popolo di Dio un'ammirevole fedeltà nel conservare immutato il deposito della fede, per grande che sia la varietà delle preghiere e dei riti. In mezzo a questa varietà, il rito ambrosiano "legittimamente riconosciuto e considerato sulla stessa base di diritto e di onore", secondo quanto dice il vaticano II (SC 4), "è stato prudentemente ed integralmente riveduto nello spirito della sana tradizione e gli è stato dato un nuovo vigore, come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo" (12). Le innovazioni apportate al messale romano, attentamente valutate, sono state spesso accolte. Del resto esse più di una volta fanno propria l'antica tradizione ambrosiana, così che lo stesso messale ambrosiano può mutuare parecchio da quello romano, naturalmente salvaguardando ciò che costituisce la peculiare caratteristica della sua originaria tradizione. Mentre infatti alcuni dei principi e delle norme del concilio vaticano II "possono e devono essere applicati sia al rito romano sia agli altri riti", le norme di carattere pratico dello stesso concilio "devono intendersi come riguardanti il solo rito romano, a meno che si tratti di cose che per loro stessa natura si riferiscono anche ad altri riti" (13).

    10. Il nuovo messale, mentre attesta la lex orandi della Chiesa ambrosiana e salvaguarda il deposito della fede trasmesso dai recenti concili, segna a sua volta una tappa di grande importanza nella tradizione liturgica. Quando i padri del concilio vaticano II ripresero le formulazioni dogmatiche del concilio di Trento, le loro parole risuonarono in un'epoca ben diversa nella vita del mondo; è per questo che nel campo pastorale essi hanno potuto dare dei suggerimenti e dei consigli, che sarebbero stati impensabili quattro secoli prima.

    11. Il concilio di Trento aveva già riconosciuto il grande valore catechetico contenuto nella celebrazione della messa, ma non poteva trarne tutte le conseguenze pratiche. In realtà si chiedeva da molti che venisse concesso l'uso della lingua volgare nella celebrazione del sacrificio eucaristico. Ma dinanzi a tale richiesta, il concilio, considerate le circostanze di allora, riteneva suo dovere riaffermare la dottrina tradizionale della Chiesa, secondo la quale il sacrificio eucaristico è anzitutto azione di Cristo stesso: per conseguenza, la sua efficacia non dipende affatto dal modo di partecipazione dei fedeli. Ecco perché si espresse con queste parole decise e misurate insieme: "Benché la messa contenga un ricco insegnamento per il popolo dei fedeli, i padri non hanno ritenuto opportuno, che venga celebrata indistintamente in lingua volgare" (14). E condannò chi osasse affermare che "non si deve ammettere il rito della Chiesa romana, in forza del quale una parte del canone e le parole della consacrazione vengono dette a bassa voce; o che la messa si debba celebrare in lingua volgare" (15). Nondimeno, se da un lato proibì l'uso della lingua parlata nella messa, dall'altro ordinò ai pastori di supplirvi con un'opportuna catechesi: "Perché il gregge di Cristo non soffra la fame... il santo concilio ordina ai pastori e a tutti quelli che hanno cura d'anime di soffermarsi frequentemente, nel corso della celebrazione della messa, o personalmente o per mezzo di altri, su questo o quel testo della messa, e di spiegare, tra l'altro, il mistero di questo santissimo sacrificio, specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi" (16).

    12. Convocato perché la Chiesa adattasse ai nostri tempi i compiti della sua missione apostolica, il concilio vaticano II ha, come quello di Trento, esaminato profondamente la natura didattica e pastorale della liturgia (17). E poiché non v'è ormai nessun cattolico che neghi la legittimità e l'efficacia del rito compiuto in lingua latina, il concilio ha ammesso senza difficoltà che "l'uso della lingua parlata può riuscire spesso di grande utilità per il popolo" e l'ha quindi permessa (18). L'entusiasmo con cui questa decisione è stata dappertutto accolta, ha portato, sotto la guida dei vescovi e della stessa sede apostolica, alla concessione che tutte le celebrazioni liturgiche con partecipazione di popolo si possono fare in lingua viva, per rendere più facile l'intelligenza piena del mistero celebrato.

    13. Tuttavia, poiché l'uso della lingua parlata nella sacra liturgia è soltanto uno strumento, anche se molto importante, per esprimere più chiaramente la catechesi del mistero contenuto nella celebrazione, il concilio vaticano II ha insistito perché si mettessero in pratica certe prescrizioni del concilio di Trento che non erano state dappertutto osservate, come il dovere di fare l'omelia nelle domeniche e nei giorni festivi (19), e la possibilità di intercalare ai riti determinate esortazioni (20). Soprattutto, però, il concilio vaticano II, nel consigliare "quella partecipazione perfetta alla messa, per la quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote, ricevono il corpo del Signore dal medesimo sacrificio" (21), ha portato al compimento di un altro voto dei padri tridentini, che, cioè, per partecipare più pienamente all'eucaristia, "nelle singole messe i presenti si comunicassero non solo con l'intimo fervore dell'anima, ma anche con la recezione sacramentale dell'eucaristia" (22).

    14. Indotto dal medesimo spirito e dallo stesso zelo pastorale il concilio vaticano II ha potuto riesaminare le decisioni di Trento a proposito della comunione sotto le due specie. Poiché attualmente nessuno mette in dubbio i principi dottrinali sul pieno valore della comunione sotto la sola specie del pane, il concilio ha permesso in alcuni casi la comunione sotto le due specie, con la quale, grazie a una presentazione più chiara del segno sacramentale, si ha modo di penetrare più profondamente il mistero al quale i fedeli partecipano (23).

    15. In questo modo, mentre la Chiesa rimane fedele al suo compito di maestra di verità, conservando "ciò che è vecchio" cioè il deposito della tradizione, assolve pure il suo compito di esaminare e adottare con prudenza "ciò che è nuovo" (cf. Mt 13,52). Una parte del nuovo messale adegua più visibilmente le preghiere della Chiesa ai bisogni del nostro tempo; tali sono specialmente le messe rituali e quelle per "diverse circostanze", nelle quali si fondono felicemente tradizione e novità. Pertanto, mentre sono rimaste intatte molte espressioni attinte alla più antica tradizione della Chiesa e rese familiari dallo stesso messale ambrosiano nelle sue varie edizioni, molte altre sono state adattate alle esigenze e alle condizioni attuali. Altre infine, come le orazioni per la Chiesa, per la santificazione del lavoro umano, per l'unione di tutti i popoli, e per certe necessità proprie del nostro tempo, sono state interamente composte ex novo, traendo i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari. Così pure, in vista di una presa di coscienza della situazione nuova del mondo contemporaneo, è sembrato che non si recasse offesa alcuna al venerabile tesoro della tradizione, modificando alcune espressioni dei testi antichi, allo scopo di meglio armonizzare la lingua con quella della teologia attuale e perché esprimessero in verità la presente situazione della disciplina della Chiesa. Per questo motivo sono stati cambiati alcuni modi di esprimersi, che risentivano di una certa mentalità sull'apprezzamento e sull'uso dei beni terrestri, e altri ancora che mettevano in rilievo una forma di penitenza esteriore propria della Chiesa di altri tempi. Le norme liturgiche del concilio di Trento sono state, dunque, su molti punti, completate e integrate dalle norme del concilio vaticano II; il concilio ha così condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i fedeli alla liturgia, sforzi condotti per quattro secoli e con più intensità in un'epoca recente, grazie soprattutto allo zelo liturgico promosso da san Pio X e dai suoi successori e, nella Chiesa ambrosiana, dagli arcivescovi A. I. Schuster, G. B. Montini e G. Colombo.






    1.Cfr. Concilio Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562.
    2.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 47; Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 3, 28; Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, nn. 2, 4,5.
    3.Cfr. Sacramentario Veronese, ed. Mohlberg, n. 93.
    4.Cfr. Preghiera eucaristica III.
    5.Cfr. Preghiera Eucaristica IV.
    6.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 47; Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, nn. 5, 18.
    7.Cfr. Pio XII, Lettera enciclica Humani Generis: AAS 42 (1950) pp. 570-571; cfr. Paolo VI, Lettera enciclica Mysterium Fidei, AAS 57 (1965) pp. 762-769; cfr. Solenne professione di fede: AAS 60 (1068) pp. 442-443; cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3f-9: AAS 59 (1967) p. 543-547.
    8.Cfr. Concilio Tridentino, Sessione XIII, 11 ottobre 1551.
    9.Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 2.
    10.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 11.
    11.Cfr. Ibidem, n. 50.
    12.Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 11.
    13.Cfr. Ibidem, n. 3.
    14.Cfr. Concilio di Trento, Sessione XXII, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 8.
    15.Cfr. Ibidem, cap. 9.
    16.Cfr. Ibidem, cap. 8.
    17.Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 33.
    18.Cfr. Ibidem, n. 36.
    19.Cfr. Ibidem, n. 52.
    20.Cfr. Ibidem, nn. 35, 3.
    21.Cfr. Ibidem, n. 55.
    22.Cfr. Concilio di Trento, Sessione XXII, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 6.
    23.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 55.


    CAPITOLO I
    Importanza e dignità della celebrazione eucaristica

    1. La celebrazione della messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli (1). Nella messa, infatti, si ha il culmine sia dell'azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di Dio (2). In essa inoltre la Chiesa commemora, nel corso dell'anno, i misteri della redenzione, in modo da renderli in certo modo presenti (3). Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della vita cristiana sono in stretta relazione con la messa, da essa derivano e ad essa sono ordinate (4).

    2. È perciò di somma importanza che la celebrazione della messa, o cena del Signore, sia ordinata in modo che i ministri e i fedeli, partecipandovi ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei frutti (5), per il conseguimento del quali Cristo Signore ha istituito il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue e lo ha affidato, come memoriale della sua passione e risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima sposa (6).

    3. Si potrà ottenere davvero questo risultato, se, tenuto conto della natura e delle altre caratteristiche di ogni assemblea, tutta la celebrazione verrà ordinata in modo tale da portare i fedeli a una partecipazione consapevole, attiva e piena, esterna e interna, ardente di fede, speranza e carità; partecipazione vivamente desiderata dalla Chiesa e richiesta dalla natura stessa della celebrazione, e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del battesimo (7).

    4. Non sempre si può avere la presenza e l'attiva partecipazione dei fedeli, che manifestano più chiaramente la natura ecclesiale dell'azione liturgica (Cool; sempre però la celebrazione eucaristica ha l'efficacia e la dignità che le sono proprie, in quanto è azione di Cristo e della Chiesa (9), e il sacerdote vi agisce sempre per la salvezza del popolo.

    5. Poiché inoltre la celebrazione dell'eucaristia, come tutta la liturgia, si compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la fede si alimenta, s'irrobustisce e si esprime (10), si deve avere la massima cura nello scegliere e nel disporre quelle forme e quegli elementi che la Chiesa propone, e che, considerate le circostanze di persone e di luoghi, possono favorire più intensamente la partecipazione attiva e piena e rispondere più adeguatamente al bene dei fedeli.

    6. Pertanto questa "istruzione" si propone di esporre i principi generali per l'ordinamento della celebrazione dell'eucaristia, e presentare le norme per regolare le singole forme di celebrazione.






    1.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 41; Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 11; Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, nn. 2, 5, 6; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3e, 6: AAS 59 (1967) p. 544-545.
    2.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 10.
    3.Cfr. Ibidem, n. 102.
    4.Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 5; Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 10.
    5.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 14, 19, 26, 28, 30.
    6.Cfr. Ibidem, n. 47.
    7.Cfr. Ibidem, n. 14.
    8.Cfr. Ibidem, n. 41.
    9.Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 13.
    10.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 59.

    CAPITOLO II
    STRUTTURA ELEMENTI E PARTI DELLA MESSA

    I. Struttura generale della messa

    7. Nella messa o cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico (1). Per questa riunione locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: "Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). Infatti nella celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della croce (2), Cristo è realmente presente nell'assemblea dei fedeli riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche (3).

    8. La messa è costituita da due parti, la "liturgia della parola" e la "liturgia eucaristica"; esse sono così strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto (4). Nella messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro (5). Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.

    II. Diversi elementi della messa

    Lettura della parola e sua spiegazione

    9. Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il vangelo. Per questo, le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della liturgia, si devono ascoltare da tutti con venerazione. E benché la parola di Dio nelle letture della sacra Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia la sua efficacia viene accresciuta da un'esposizione viva e attuale, cioè dall'omelia, che è considerata parte dell'azione liturgica (6).

    Le orazioni e le altre parti che spettano al sacerdote

    10. Tra le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto la preghiera eucaristica, culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè: l'orazione all'inizio dell'assemblea liturgica, l'orazione a conclusione della liturgia della parola, l'orazione sui doni e l'orazione dopo la comunione. Queste preghiere, dette dal sacerdote nella sua qualità di presidente dell'assemblea nella persona di Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell'intero popolo santo e di tutti i presenti (7). Perciò giustamente si chiamano "orazioni presidenziali".

    11. Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell'assemblea radunata, formulare alcune monizioni (Cool e proporre le formule di introduzione e di conclusione previste nel rito medesimo. Di loro natura queste monizioni non esigono di essere pronunziate alla lettera, nella formulazione presentata nel messale; per cui potrà essere opportuno l'adattarle in qualche modo, almeno in alcuni casi, alle vere condizioni della comunità. Così pure spetta al sacerdote che presiede annunziare la parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole, all'inizio della celebrazione, per introdurre i fedeli alla messa del giorno; alla liturgia della parola, prima delle letture; alla preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio; prima del congedo, per concludere l'intera azione sacra.

    12. La natura delle parti "presidenziali" esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione (9). Perciò mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l'organo e altri strumenti musicali devono tacere.

    13. Il sacerdote formula preghiere non soltanto come presidente a nome di tutta la comunità, ma talvolta anche a titolo personale, per poter compiere il proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere si dicono sottovoce.

    Altre formule che ricorrono nella celebrazione

    14. Poiché la celebrazione della messa, per sua natura, ha carattere "comunitario" (10), grande rilievo assumono i dialoghi tra il celebrante e l'assemblea dei fedeli, e le acclamazioni (11). Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono ed effettuano la comunione tra il sacerdote e il popolo.

    15. Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di messa, per esprimere e ravvivare l'azione di tutta la comunità (12).

    16. Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all'intera assemblea; sono soprattutto l'atto penitenziale, la preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli), la professione di fede e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro).

    17. Infine, tra le altre formule: a) alcune costituiscono un rito o un atto a sé stante, come l'inno Gloria, il salmo responsoriale, il Simbolo, il Santo (sanctus), l'acclamazione dell'anamnesi e il canto dopo la comunione; b) altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti d'ingresso, dopo il vangelo, di offertorio, quelli che accompagnano la "frazione" del pane e la comunione.

    In qual modo proclamare i vari testi

    18. Nei testi che devono esser pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dai ministri, o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un'orazione, di una monizione, di un'acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo. Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole "dire" oppure "proclamare" devono essere intese in riferimento sia al canto che alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti.

    Importanza del canto

    19. I fedeli che si radunano nell'attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall'apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (cfr. Col 3,16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (cfr. At 2,46). Perciò dice molto bene sant'Agostino: "Il cantare è proprio di chi ama" (13), e già dall'antichità si formò il detto: "Chi canta bene, prega due volte". Nelle celebrazioni si dia quindi grande importanza al canto, tenuto conto della diversità culturale delle popolazioni e della capacità di ciascun gruppo, anche se non è sempre necessario cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto. Nella scelta della parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote o dai ministri con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme (14). Poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è opportuno che sappiano cantare insieme, in lingua latina, e nelle melodie più facili, almeno le parti dell'ordinario della messa, ma specialmente il Simbolo della fede e la preghiera del Signore (Padre nostro) (15).

    Gesti e atteggiamenti del corpo

    20. L'atteggiamento comune del corpo, che tutti i partecipanti al rito sono invitati a prendere, è il segno della comunità e dell'unità dell'assemblea: esso esprime e favorisce l'intenzione e i sentimenti dell'animo dei partecipanti (16).

    21. Per ottenere l'uniformità nei gesti e negli atteggiamenti, i fedeli seguano le indicazioni che vengono date dal diacono, o dal sacerdote, o da un altro ministro, durante la celebrazione. Inoltre, in tutte le messe, salvo indicazioni in contrario, i fedeli stiano in piedi dall'inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all'altare, fino alla conclusione dell'orazione all'inizio dell'assemblea liturgica compresa; al canto dell'Alleluia prima del vangelo; durante la proclamazione del vangelo; alla preghiera universale (o preghiera dei fedeli); durante la professione di fede e dall'orazione sui doni fino al termine della messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito. Stanno invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del vangelo e durante il salmo responsoriale; all'omelia; durante la preparazione dei doni all'offertorio e, se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione. S'inginocchiano poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli. Le comunità più preparate, secondo l'usanza della tradizione ambrosiana, possono inginocchiarsi durante la preghiera universale, seguendo la monizione del diacono o di un ministro idoneo. Inoltre durante il canto o la recita del Padre nostro si possono tenere le braccia allargate: questo gesto, purché opportunamente spiegato, si svolga in un clima fraterno di preghiera.

    22. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e gli atteggiamenti del sacerdote nel recarsi all'altare, quelle per la presentazione dei doni e per la comunione dei fedeli. Conviene che queste azioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per i singoli movimenti.

    Il silenzio

    23. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni (17). Così, durante l'atto penitenziale e dopo l'invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l'omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di ringraziamento.

    III. Le singole parti della messa

    A) RITI DI INTRODUZIONE

    24. Le parti che precedono la liturgia della parola, cioè l'ingresso, il saluto, l'atto penitenziale, il Gloria e l'orazione all'inizio dell'assemblea liturgica, hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l'eucaristia.

    L'ingresso

    25. Quando il popolo è riunito, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con i ministri, si inizia il canto d'ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l'unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri.

    26. Il canto viene eseguito dal popolo o dalla schola, oppure dalla schola e dal popolo a cori alternati. Si può utilizzare sia il canto che si trova nell'antifonale, sia quello del messale, oppure un altro canto adatto all'azione sacra, al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla competente autorità. Se all'ingresso non ha luogo il canto, il testo proposto nel messale viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o dal ministro. A questo scopo ci si preoccupi di preparare convenientemente i fedeli. E' meno opportuno infatti che lo reciti il sacerdote stesso. Questa indicazione vale anche per gli altri canti della messa.

    Saluto all'altare e al popolo adunato

    27. Giunti in presbiterio, il sacerdote e i ministri salutano l'altare. In segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote lo può incensare secondo l'opportunità.

    28. Terminato il canto d'ingresso, il sacerdote e tutta l'assemblea si segnano col segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità riunita la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata.

    29. Salutato il popolo, il sacerdote, o un altro ministro che ne sia capace, può fare una brevissima introduzione alla messa del giorno. Quindi il sacerdote invita all'atto penitenziale, che viene compiuto da tutta la comunità mediante la confessione generale, e si conclude con l'assoluzione del sacerdote. L'atto penitenziale si può tralasciare quando si continua una celebrazione liturgica già iniziata, come nella processione della domenica delle palme, nei funerali, nella processione per la solennità del Titolo o del Patrono e in genere quando si tratta di una vera processione e non di un semplice ingresso. Tranne che nei funerali, in questi casi, molto opportunamente si possono cantare i dodici Kyrie con la sallenda propria o un'antifona appropriata secondo il rito previsto nel Rito della messa.

    Gloria in excelsis

    30. Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito santo, glorifica e supplica Dio Padre e l'Agnello. Viene cantato da tutta l'assemblea o dal popolo alternativamente con la schola oppure dalla schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, insieme o alternativamente. Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di avvento e quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in particolari celebrazioni più solenni.

    Orazione all'inizio dell'assemblea liturgica

    31. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme con il sacerdote stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e per poter formulare nel proprio cuore la preghiera personale. Quindi il sacerdote dice l'orazione all'inizio dell'assemblea liturgica. Per mezzo di essa viene espresso il carattere della celebrazione e con le parole del sacerdote si rivolge la preghiera a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito santo. Il popolo, unendosi alla preghiera ed esprimendo il suo assenso, fa sua l'orazione con l'acclamazione Amen. Nella messa si dice una sola orazione all'inizio dell'assemblea liturgica; la stessa cosa vale anche per l'orazione a conclusione della liturgia della parola, per l'orazione sui doni e per l'orazione dopo la comunione. L'orazione all'inizio dell'assemblea liturgica termina con la conclusione lunga, e cioè:
    - se è rivolta al Padre: Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell'unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli;
    - se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell'orazione si fa menzione del Figlio e non è indicata un'altra conclusione: Egli che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli. Oppure: Per lui, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell'unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli;
    - se è rivolta al Figlio e non è indicata un'altra conclusione: Tu che sei Dio, e vivi e regni con il Padre, nell'unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli.
    Invece l'orazione a conclusione della liturgia della parola, l'orazione sui doni e l'orazione dopo la comunione hanno la conclusione breve, e cioè:
    - se è rivolta al Padre: Per Cristo nostro Signore;
    - se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell'orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli;
    - se è rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

    B) LITURGIA DELLA PAROLA

    32. Le letture scelte dalla Sacra Scrittura con i canti che le accompagnano costituiscono la parte principale della liturgia della parola; l'omelia, il canto dopo il vangelo, la preghiera universale o preghiera dei fedeli e l'orazione a conclusione della liturgia della parola sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nell'omelia, Dio parla al suo popolo (18), gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua parola, tra i fedeli (19). Il popolo fa propria questa parola divina con i canti; così nutrito, prega nell'orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.

    Le letture bibliche

    33. Con le letture si offre ai fedeli la mensa della parola di Dio e si aprono loro i tesori della Bibbia (20). Poiché secondo la tradizione l'ufficio di proclamare le letture non spetta al presidente ma ad uno dei ministri, conviene che, d'ordinario, il diacono, o, in sua assenza, un altro sacerdote legga il vangelo; un lettore invece legga le altre letture. Mancando però il diacono o un altro sacerdote, leggerà il vangelo lo stesso celebrante (21). Secondo la tradizione liturgica ambrosiana, tutti i ministri che proclamano le letture chiedono e ricevono la benedizione del celebrante.

    34. Alla lettura del vangelo si deve il massimo rispetto; lo insegna la liturgia stessa, perché la distingue dalle altre letture con particolari onori: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla, che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono al libro dei vangeli.

    I canti tra le letture

    35. Alla prima lettura segue il salmo responsoriale o salmello, che è parte integrante della liturgia della parola. Il salmo, d'ordinario, è preso dal lezionario, perché ogni testo salmodico è direttamente connesso con la relativa lettura: pertanto la scelta del salmo dipende dalle letture. Nondimeno, perché il popolo più facilmente possa ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi comuni di ritornelli e di salmi per diversi tempi dell'anno e per le diverse categorie di santi; questi testi si possono utilizzare al posto di quelli corrispondenti alle letture, ogni volta che il salmo viene cantato. Il cantore del salmo, o salmista, recita (o canta) i versetti del salmo all'ambone o in altro luogo adatto; l'assemblea sta seduta e ascolta, e partecipa di solito con il ritornello, a meno che il salmo non sia recitato (o cantato) o per intero senza ritornello. Se si canta, oltre al salmo designato sul lezionario, si può utilizzare un salmello come sta scritto nell'antifonale.

    36. Alla seconda lettura segue l'Alleluia o un altro canto, a seconda del tempo liturgico.
    a) L'Alleluia si canta in qualsiasi tempo, tranne che in quaresima. Può essere iniziato o da tutti, o dalla schola, o da un cantore e, se è il caso, lo si ripete. I versetti si scelgono dal lezionario oppure dall'antifonale.
    b) L'altro canto è costituito da un versetto prima del vangelo (cioè un canto al vangelo), oppure da un altro salmo o canto come si trovano nel lezionario o nell'antifonale.

    37. Quando vi è una sola lettura prima del vangelo:
    a) nel tempo in cui si canta l'Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico, oppure il salmo e l'Alleluia con il suo versetto, o solo il salmo o solo l'Alleluia;
    b) nel tempo in cui l'Alleluia non si canta, si può eseguire o il salmo, o il versetto prima del vangelo.

    38. Il salmo dopo la lettura, se non viene cantato, deve essere detto ad alta voce, invece l'Alleluia e il versetto prima del vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare. L'antifona prima del vangelo, che si trova in alcuni giorni determinati (Natale del Signore, Epifania, Pasqua, e solennità del Titolo e del Patrono), se non viene cantata, può essere tralasciata.

    L'omelia

    39. L'omelia fa parte della liturgia ed è molto raccomandata (22): è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Deve essere la spiegazione o di qualche aspetto delle letture della sacra Scrittura, o di un altro testo dell'ordinario o del proprio della messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta (23).

    40. Nelle domeniche e nelle feste di precetto si deve tenere l'omelia in tutte le messe con partecipazione di popolo; in tali giorni, non la si può omettere se non per una causa grave. E' raccomandata negli altri giorni specialmente nelle ferie di avvento, di quaresima e del tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla Chiesa (24). L'omelia di solito sia tenuta personalmente dal celebrante.

    41. Dopo l'omelia, o anche, secondo l'opportunità, subito dopo la lettura del vangelo, si canta o si recita il canto dopo il vangelo, mentre si prepara l'altare. Durante il canto infatti, l'altare o mensa del Signore, che è il centro di tutta la liturgia eucaristica (25), viene preparato dai ministri in vista della liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio e i vasi sacri. Le norme sul modo di eseguire il canto sono le stesse del canto d'ingresso (cfr. n. 26).

    Preghiera universale

    42. Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo, esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutti gli uomini. E' conveniente che nelle messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che si trovano in necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo (26).

    43. La successione delle intenzioni sia ordinariamente questa:
    a) per le necessità della Chiesa;
    b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo;
    c) per quelli che si trovano in difficoltà;
    d) per la comunità locale.
    Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella confermazione e nel matrimonio, la successione delle intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza particolare.

    44. Spetta al sacerdote celebrante guidare la preghiera, invitare, con una breve monizione, i fedeli a pregare, e terminare la preghiera con l'orazione a conclusione della liturgia della parola. Le intenzioni siano proposte da un diacono o da un cantore, o da qualche altra persona (27). Tutta l'assemblea esprime la sua preghiera o con un'invocazione comune, dopo che sono state presentate le intenzioni, oppure pregando in silenzio. Secondo l'antica tradizione ambrosiana, lodevolmente si può usare l'invocazione Kyrie eleison.

    Orazione a conclusione della liturgia della parola

    45. Terminate le intenzioni della preghiera universale, il sacerdote dice l'orazione a conclusione della liturgia della parola. Essa non va mai omessa, anche quando si tralasciasse la preghiera universale.

    C) LITURGIA EUCARISTICA

    46. Nell'ultima cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso di continuo presente nella Chiesa il sacrificio della croce, allorché il sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero in memoria di lui (28). Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e li diede ai suoi discepoli, dicendo: "Prendete, mangiate, bevete; questo è il mio corpo; questo è il calice del mio sangue. Fate questo in memoria di me". Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione della liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e gesti di Cristo. Infatti:
    1) Nella preparazione dei doni, vengono portati all'altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.
    2) Nella preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l'opera della salvezza, e le offerte diventano il corpo e il sangue di Cristo.
    3) Mediante la frazione di un unico pane si manifesta l'unità dei fedeli, e per mezzo della comunione i fedeli stessi si cibano del corpo e del sangue del Signore, allo stesso modo con il quale gli apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.

    La preparazione dei doni e la professione di fede

    47. prima che i doni vengano portati all'altare, secondo l'esortazione evangelica può aver luogo il rito della pace con il quale i fedeli, animati dalla parola di Dio, prima di celebrare il mistero eucaristico si manifestano reciprocamente l'amore fraterno. In tal caso il diacono o, qualora mancasse, il celebrante stesso proclama: Sia pace tra voi o un'altra simile monizione; e tutti si scambiano un segno di pace. La collocazione del rito della pace prima della presentazione dei doni deve essere ritenuta preferenziale rispetto alla collocazione di tale rito prima della comunione.

    48. Quindi si portano all'altare i doni, che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo. E' cosa lodevole che i fedeli presentino il pane e il vino; il sacerdote, in luogo opportuno e adatto, li riceve recitando le formule prescritte e i ministri li dispongono sull'altare. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla liturgia, tuttavia il rito di presentare questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale. Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in Chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.

    49. Il canto all'offertorio accompagna la processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull'altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse che per il canto d'ingresso (n. 26). L'antifona di offertorio, se non si canta, viene tralasciata.

    50. Si può fare l'incensazione dei doni posti sull'altare e dell'altare stesso, per significare che l'offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l'incensazione dei doni e dell'altare, anche il sacerdote e il popolo possono ricevere l'incensazione dal diacono o da un altro ministro.

    51. Quindi, se è necessario, il sacerdote si lava le mani.

    52. Prima di recitare l'orazione sui doni si proclama il Simbolo, con il quale i fedeli prima di celebrare il mistero eucaristico esprimono la loro unica fede nella santissima Trinità.

    53. Il simbolo deve essere recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle domeniche; nelle solennità; nei giorni dell'ottava del Natale che prevalgono sulla domenica (26, 27, 28 dicembre); nel sabato in traditione symboli; nei giorni dell'ottava di Pasqua e nelle messe "per i battezzati"; nelle feste del Signore, della beata Vergine Maria, degli apostoli e degli evangelisti; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni. Se viene cantato, si canti normalmente da tutti o a cori alterni.

    54. Deposte le offerte sull'altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, con l'orazione sui doni si conclude la preparazione dei offerte e si prelude alla preghiera eucaristica.

    La preghiera eucaristica

    55. A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell'intera celebrazione, vale a dire la preghiera eucaristica, cioè la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell'azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge al Padre per mezzo di Gesù Cristo. Il significato di questa preghiera è che tutta l'assemblea si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell'offrire il sacrificio.

    56. Gli elementi principali di cui consta la preghiera eucaristica, si possono distinguere come segue:
    a) L'azione di grazie (che si esprime specialmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l'opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del tempo.
    b) L'acclamazione: tutta l'assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo (Sanctus). Questa acclamazione, che fa parte della preghiera eucaristica, è pronunziata da tutto il popolo col sacerdote.
    c) L'epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza divina, perché i doni offerti dagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il corpo e il sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
    d) Il racconto dell'istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell'ultima cena, quando offrì il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.
    e) L'anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli apostoli, celebra la memoria di Cristo, ricordando soprattutto la sua beata passione, la gloriosa risurrezione e l'ascensione al cielo.
    f) L'offerta: nel corso di questa stessa memoria la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito santo la vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma anche imparino ad offrire se stessi e così portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di Cristo mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti (29).
    g) Le intercessioni: in esse si esprime che l'eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l'offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza acquistata per mezzo del corpo e del sangue di Cristo.
    h) La dossologia finale, che esprime la glorificazione di Dio: essa viene ratificata e conclusa con l'acclamazione del popolo. La preghiera eucaristica esige che tutti l'ascoltino con rispetto e in silenzio, e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito.

    Riti di comunione

    57. Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo corpo e il suo sangue come cibo spirituale (30). A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori, che dispongono immediatamente i fedeli alla comunione:
    a) Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell'ultima cena, sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l'azione eucaristica. Questo rito non ha soltanto una ragione pratica, ma significa che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione a un solo pane di vita, che è Cristo (1Cor 10,17).
    b) L'immixtio: il celebrante mette nel calice una piccola porzione dell'ostia.
    c) Il canto allo spezzare del pane: mentre si compie la frazione del pane e l'immixtio, si canta il canto allo spezzare del pane. Le norme sono le stesse riportate per il canto d'ingresso (cf. n. 26). Come per il canto all'ingresso, se non viene cantato, sia recitato.
    d) La preghiera del Signore (o Padre nostro): in essa si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono anche un riferimento al pane eucaristico, e si implora la purificazione dei peccati, così che realmente "i santi doni vengano dati ai santi". Il sacerdote rivolge l'invito alla preghiera, che tutti i fedeli dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l'embolismo, che il popolo conclude con la dossologia. L'embolismo, sviluppando l'ultima domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male. L'invito (o monizione), la preghiera del Signore, l'embolismo e la dossologia, con la quale il popolo conclude l'embolismo, si cantano o si dicono ad alta voce.
    e) In casi particolari, quando si voglia esprimere l'amore vicendevole dei fedeli prima di partecipare all'unico pane, si può collocare a questo punto il rito della pace, omettendolo prima della presentazione dei doni. In ogni caso il sacerdote invoca ugualmente la pace sul popolo dicendo: La pace e la comunione del Signore nostro Gesù Cristo siano sempre con voi.
    f) La preparazione personale del sacerdote: il celebrante si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il corpo e il sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio.
    g) Quindi il celebrante mostra ai fedeli il pane eucaristico che sarà ricevuto nella comunione e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con essi esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle parole del vangelo.
    h) Si desidera vivamente che i fedeli ricevano il corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa messa, e, nei casi previsti, facciano la comunione al calice, perché anche per mezzo dei segni, la comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto (31).
    i) Mentre il sacerdote e i fedeli si comunicano, si esegue il canto di comunione; esso ha lo scopo di esprimere, mediante l'accordo delle voci, l'unione spirituale di coloro che si comunicano, dimostrare la gioia del cuore e rendere più fraterna la processione di coloro che si accostano a ricevere il corpo di Cristo. Il canto comincia mentre il sacerdote si comunica, e si protrae per un certo tempo, durante la comunione dei fedeli. Se però è previsto che dopo la comunione si eseguisca un inno, il canto di comunione s'interrompa al momento opportuno. Come canto di comunione si può utilizzare quello dell'antifonale, con o senza salmo, oppure un altro canto adatto, secondo le norme date per il canto d'ingresso (cfr. n. 26). Se non viene cantato sia recitato.
    j) Ultimata la distribuzione della comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l'opportunità, pregano per un po' di tempo in silenzio. Si può anche far cantare da tutta l'assemblea un inno, un salmo o un altro canto di lode.
    k) Nell'orazione dopo la comunione, il sacerdote chiede i frutti del mistero celebrato. Il popolo fa sua l'orazione con l'acclamazione Amen.

    D) RITI DI CONCLUSIONE

    58. I riti di conclusione comprendono:
    a) Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con un'altra formula più solenne.
    b) Il congedo propriamente detto, con il quale si scioglie l'assemblea, perché ognuno ritorni alle sue occupazioni lodando e benedicendo il Signore.






    1.Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 5; Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 33.
    2.Cfr. Concilio di Trento, Sessione XXII, cap. 1; Cfr. Paolo VI, Solenne professione di fede, 30 giugno 1968, n. 24; AAS 60 (1967) p. 442.
    3.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 7; Cfr. Paolo VI, Lettera enciclica Mysterium Fidei, 3 settembre 1965: AAS 57 (1965) p. 764; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 9: AAS 59 (1967) p. 547.
    4.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 56; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 10: AAS 59 (1967) p. 547.
    5.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48-51; Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Divina rivelazione Dei Verbum, n. 21; Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 4.
    6.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 33, 52.
    7.Cfr. Ibidem, n. 33.
    8.Cfr. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Lettera circolare sulle Preci eucaristiche, 27 aprile 1973, n. 14: AAS 65 (1973) p. 346.
    9.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 14: AAS 59 (1967) p. 304.
    10.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 26, 27; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 3d: AAS 59 (1967) p. 542.
    11.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30.
    12.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 16a: AAS 59 (1967) p. 305.
    13.Sermo 336,1: PL 38,1472.
    14.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, nn. 7, 16: AAS 59 (1967) pp. 302, 305; cfr. Messale Romano, Ordo cantus Missae, ed. tipica 1972, Premesse.
    15.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 54; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 59: AAS 56 (1964) p. 891; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, n. 47: AAS 59 (1967) p. 314.
    16.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30.
    17.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30.
    18.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, n. 17: AAS 59 (1967) p. 305.
    19.Cfr. Ibidem, n. 7.
    20.Cfr. Ibidem, n. 51.
    21.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 50: AAS 56 (1964) p. 889.
    22.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 52.
    23.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 54: AAS 56 (1964) p. 890.
    24.Cfr. Ibidem, n. 53.
    25.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 91: AAS 56 (1964) p. 898; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) p. 554.
    26.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 53.
    27.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 56: AAS 56 (1964) p. 890.
    28.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 47; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 3a, b: AAS 59 (1967) p. 540-541.
    29.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48; Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 5; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: AAS 59 (1967) p. 548-549.
    30.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Nysterium, 25 maggio 1967, nn. 12, 33a: AAS 59 (1967) pp. 549, 559.
    31.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Nysterium, 25 maggio 1967, nn. 31, 32: AAS 59 (1967) pp. 558-559; sulla facoltà di comunicarsi due volte nel medesimo giorno cfr. CIC, can. 917.


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    Messaggio Da enricorns2 Gio Set 08, 2016 11:52 pm

    CAPITOLO III
    UFFICI E MINISTERI NELLA MESSA

    59. Nell'assemblea, che si riunisce per la messa, ciascuno ha il diritto e il dovere di recare la sua partecipazione in diversa misura a seconda della diversità di ordine e di compiti (1). Pertanto tutti, sia i ministri che i fedeli, compiendo il proprio ufficio, facciano tutto e soltanto ciò che è di loro competenza (2): così che la stessa disposizione della celebrazione manifesti la chiesa costituita nei suoi diversi ordini e ministeri.

    I. Uffici e ministeri dell'ordine sacro

    60. Ogni legittima celebrazione dell'eucaristia è diretta dal vescovo, o personalmente, o per mezzo dei presbiteri suoi collaboratori (3). Quando il vescovo è presente a una messa con partecipazione di popolo, è bene che presieda lui stesso l'assemblea, e che associ a sé i presbiteri nella celebrazione, per quanto è possibile concelebrando con loro. Questo si fa non tanto per accrescere la solennità esteriore del rito, ma per esprimere con maggior chiarezza il mistero della chiesa, sacramento di unità (4). Se il vescovo non celebra l'eucaristia, ma ne affida il compito a un presbitero, è bene che sia lui a presiedere la liturgia della parola e concluda poi la messa con il rito di congedo.

    61. Anche il sacerdote, che nella comunità dei fedeli è insignito del potere derivatogli dall'ordine sacro di offrire il sacrificio nella persona di Cristo (5), presiede l'assemblea riunita, ne dirige la preghiera, annuncia ad essa il messaggio della salvezza, si associa il popolo nell'offerta del sacrificio a Dio Padre per Cristo nello Spirito santo, distribuisce ai fratelli il pane della vita eterna e partecipa con essi al banchetto. Pertanto, quando celebra l'eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo.

    62. Tra i ministri ha il primo posto il diacono, il cui ordine già dagli inizi della chiesa fu tenuto in grande onore. Nella messa il diacono ha come ufficio proprio: l'annunciare il vangelo e talvolta predicare la parola di Dio, proporre ai fedeli le intenzioni della preghiera universale, servire il sacerdote, distribuire ai fedeli l'eucaristia, specialmente sotto la specie del vino, ed eventualmente indicare all'assemblea i gesti e gli atteggiamenti da assumere.

    II. Ufficio e compito del popolo di Dio

    63. Nella celebrazione della messa i fedeli formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote ma anche insieme con lui, e imparare a offrire se stessi (6). Procurino quindi di manifestare tutto ciò con un profondo senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa celebrazione. Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione, tenendo presente che hanno un unico Padre nei cieli, e che perciò tutti sono tra loro fratelli. Formino invece un solo corpo, sia nell'ascoltare la parola di Dio, sia nel prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore. Questa unità appare molto bene dai gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme. I fedeli non rifiutino di servire con gioia l'assemblea del popolo di Dio, ogni volta che sono pregati di prestare qualche servizio particolare nella celebrazione.

    64. Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la schola cantorum o "coro", il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto (7). Quello che si dice della schola cantorum vale anche, con gli opportuni adattamenti, per gli altri musicisti, specialmente per l'organista.

    65. E' opportuno che vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e sostenere il canto del popolo. Anzi, mancando la schola, è compito del cantore guidare i diversi canti, facendo partecipare il popolo per la parte che gli spetta (Cool.

    III. Uffici particolari

    66. E' compito dell'accolito curare il servizio all'altare e aiutare il sacerdote e il diacono. A lui spetta specialmente preparare l'altare e i vasi sacri, e, come ministro straordinario, distribuire l'eucaristia ai fedeli.

    67. Il lettore è istituito per proclamare le letture della sacra scrittura, eccetto il vangelo; può anche proporre le intenzioni della preghiera universale e, in mancanza del salmista, recitare il salmo interlezionale. Il lettore nella celebrazione eucaristica ha un suo ufficio proprio, che deve esercitare lui stesso, anche se sono presenti ministri di ordine superiore. Perché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore della sacra scrittura (9), è necessario che i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne hanno ricevuta l'istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno.

    68. E' compito del salmista proclamare il salmo, o il canto biblico, tra le letture. Per adempiere convenientemente il suo ufficio, è necessario che il salmista possegga l'arte del salmodiare e abbia una buona pronuncia e una buona dizione.

    69. Quanto agli altri ministri, alcuni svolgono determinate funzioni in presbiterio, altri fuori del presbiterio. Fra i primi si annoverano coloro ai quali è stato affidato il compito di distribuire, in qualità di ministri straordinari, la santa comunione, come pure coloro che portano il messale, la croce, i ceri, il pane, il vino, l'acqua, il turibolo e la navicella (10). Fra gli altri ci sono:
    a) Il commentatore, che rivolge ai fedeli spiegazioni ed esortazioni per introdurli nella celebrazione e meglio disporli a comprenderla e seguirla. Gli interventi del commentatore siano preparati con cura, siano chiari e sobri. Nel compiere il suo ufficio, il commentatore sta in un luogo adatto davanti ai fedeli, ma non sale all'ambone.
    b) Coloro che, in alcune regioni, accolgono i fedeli alla porta della chiesa e li dispongono ai propri posti, e ordinano i movimenti processionali dei fedeli.
    c) Coloro che raccolgono le offerte in chiesa.

    70. E' bene che, soprattutto nelle grandi chiese e nelle comunità importanti, vi sia qualcuno incaricato di predisporre con cura le celebrazioni, e di preparare i ministri a compierle con decoro, ordine e devozione.

    71. Tutti i ministeri inferiori a quelli propri del diacono, possono essere esercitati da uomini laici, anche se non ne hanno ricevuta l'istituzione. Anche una donna ben preparata può proclamare le letture che precedono il vangelo e proporre le intenzioni della preghiera universale (11).

    72. Se sono presenti più persone che possono esercitare lo stesso ministero, nulla impedisce che si distribuiscano tra loro le varie parti di uno stesso ministero e ciascuno svolga la sua. Per esempio, un diacono può essere incaricato delle parti in canto, e un altro del servizio all'altare; se vi sono più letture, converrà distribuirle tra più lettori, e così via.

    73. Se nella messa con partecipazione di popolo vi è un solo ministro, egli può compiere diversi uffici.

    74. La preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia di comune intesa fra tutti coloro che sono interessati rispettivamente alla parte rituale, pastorale e musicale, sotto la direzione del rettore della chiesa, e sentito anche il parere dei fedeli per quelle cose che li riguardano direttamente.






    1.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 14, 26.
    2.Cfr. Ibidem, n. 28.
    3.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 26, 28; Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 26.
    4.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 26.
    5.Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 2; Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 28.
    6.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 48; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: AAS 59 (1967) pp. 548-549.
    7.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 19: AAS 59 (1967) p. 306.
    8.Cfr. Ibidem, n. 21: AAS 59 (1967) p. 306.
    9.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24.
    10.Cfr. Sacra Congregazione per la Disciplina dei sacramenti, Istruzione Immensae Caritatis, 29 gennaio 1973, n. 1: AAS 65 (1973) pp. 265-266.
    11.Cfr. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia, 5 settembre 1970, n. 7: AAS 62 (1970) p. 693.


    CAPITOLO IV (1)
    DIVERSE FORME DI CELEBRAZIONE DELLA MESSA
    75. Nella Chiesa locale si deve dare il primo posto - lo richiede il suo significato - alla messa cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri (1) con la partecipazione piena e attiva del popolo santo di Dio. Si ha qui infatti una speciale manifestazione della Chiesa.

    76. Grande importanza si deve dare anche alla messa celebrata con una comunità, specialmente parrocchiale; essa, infatti, soprattutto nella celebrazione comunitaria della domenica, manifesta la Chiesa universale in un momento e in un luogo determinato (2).

    77. Tra le messe celebrate da determinate comunità, particolare importanza ha la messa conventuale, che è parte dell'ufficio quotidiano, come pure la messa della «comunità». E sebbene queste messe non comportino nessuna forma particolare di celebrazione, tuttavia è quanto mai conveniente che siano celebrate con il canto, e soprattutto con la piena partecipazione di tutti i membri della comunità, sia di canonici che di religiosi. In queste messe perciò ognuno eserciti la sua funzione, secondo l'ordine o il ministero ricevuto. Anzi, conviene che tutti i sacerdoti non tenuti a celebrare individualmente per l'utilità pastorale dei fedeli per quanto è possibile concelebrino in queste messe (3).
    Inoltre tutti i sacerdoti membri della comunità, tenuti a celebrare individualmente per il bene pastorale dei fedeli, possono, nello stesso giorno, concelebrare anche la messa conventuale o di comunità.

    I.Messa con il popolo

    78. Per «messa con il popolo» si intende quella celebrata con la partecipazione dei fedeli. Conviene, per quanto è possibile, che la celebrazione si svolga con il canto e con un congruo numero di ministri, soprattutto nelle domeniche e feste di precetto (4); si può fare però anche senza canto e con un solo ministro.

    79. E' bene che un accolito, un lettore e un cantore assistano, di solito, il sacerdote celebrante; è questa la forma «tipica», come verrà chiamata negli articoli seguenti. Però il rito qui descritto prevede la possibilità di usare un numero anche maggiore di ministri. A qualsiasi forma di celebrazione può prendere parte un diacono, che svolge l'ufficio a lui proprio.

    Cose da preparare

    80. L'altare sia ricoperto da almeno una tovaglia. Sull'altare, o vicino ad esso, si pongano almeno due, anche quattro, o sei candelieri con i ceri accesi; se celebra il vescovo della diocesi, i candelieri saranno sette. Inoltre, sull'altare, o vicino ad esso, si collochi la croce sulla quale, se è sopra l'altare, possono essere collocati i ceri prescritti secondo l'usanza del rito ambrosiano. I candelieri e la croce si possono portare nella processione di ingresso. Sopra l'altare si può collocare il libro dei vangeli, distinto dal libro delle altre letture, a meno che non venga portato nella processione d'ingresso.

    81. Nel presbiterio si preparino:

    a) accanto alla sede del sacerdote: il messale e, se necessario, il libro dei canti;

    b) sull'ambone: il lezionario;

    c) sopra la credenza: il calice, il corporale, il purificatoio e, secondo l'opportunità, la palla; la patena e le pissidi, se occorrono, con il pane per la comunione del sacerdote, dei ministri e del popolo; le ampolle con il vino e l'acqua, a meno che tutte queste cose non vengano presentate dai fedeli all'offertorio; il piattello per la comunione dei fedeli; inoltre il necessario per lavarsi le mani. Il calice sia ricoperto da un velo, che può essere sempre di colore rosso, o bianco.

    82. In sacrestia, si preparino, secondo le varie forme di celebrazione, le vesti sacre del sacerdote e dei ministri:

    a) per il sacerdote: camice, stola e casula;

    b) per il diacono: camice, dalmatica e stola; in caso però di necessità o di minor solennità, la dalmatica si può omettere;

    c) per gli altri ministri: camice o altre vesti legittimamente approvate. Tutti coloro che indossano il camice, usino il cingolo e l'amitto, a meno che non si provveda diversamente.

    A)FORMA TIPICA (2)

    Riti di introduzione

    83. Quando il popolo si è riunito, il sacerdote e i ministri, rivestiti delle vesti sacre, si avviano all'altare, in quest'ordine:

    a) i ministri con la navicella e il turibolo fumigante, se si usa l'incenso;

    b) i ministri che, secondo l'opportunità, portano i candelieri con i ceri accesi; in mezzo a loro, eventualmente, un altro ministro con la croce; poi tutti gli altri ministri che hanno parte nella celebrazione;

    c) il lettore, che può portare il libro dei vangeli;

    d) il sacerdote celebrante.

    Se si usa l'incenso, prima di incamminarsi il sacerdote pone l'incenso nel turibolo.

    84. Durante la processione all'altare, si esegue il canto d'ingresso (cfr. nn. 25-26).

    85. Arrivati all'altare, il sacerdote e i ministri fanno la debita riverenza: inchino profondo oppure, se vi è il tabernacolo con il santissimo sacramento, genuflessione. La croce portata in processione viene collocata presso l'altare, o in altro luogo adatto; i candelieri portati dai ministri si depongono accanto all'altare o sopra la credenza; il libro dei vangeli viene posto sull'altare.

    86. Il sacerdote sale all'altare e lo bacia in segno di venerazione. Poi, secondo l'opportunità, lo incensa sulla mensa; il diacono prosegue l'incensazione girando attorno all'altare.

    87. Fatto questo, il sacerdote si reca alla sede. Terminato il canto d'ingresso, tutti in piedi, sacerdote e fedeli, fanno il segno della croce. Il sacerdote dice: Nel nome del Padre e del figlio e dello Spirito santo; il popolo risponde: Amen. Poi, rivolto al popolo, e allargando le braccia, il sacerdote lo saluta con una delle formule proposte. Egli stesso o un altro ministro idoneo può fare una breve introduzione alla messa del giorno.

    88. Dopo l'atto penitenziale, si dice il Gloria, secondo le rubriche (cfr. n. 30). Il Gloria può essere iniziato o dallo stesso celebrante, o dai cantori, o anche da tutti insieme.

    89. Quindi il sacerdote invita il popolo alla preghiera, dicendo a mani giunte: Preghiamo. E tutti insieme con il sacerdote pregano, per breve tempo, in silenzio. Poi il sacerdote, con le braccia allargate, dice l'orazione; al termine di questa, il popolo acclama: Amen.

    Liturgia della parola

    90. Terminata l'orazione, il lettore si reca all'ambone e proclama la prima lettura; tutti l'ascoltano seduti. Il lettore, prima di annunziare il titolo della lettura, inchinato verso il sacerdote, chiede la benedizione dicendo a chiara voce: Benedicimi, Padre. Il sacerdote, a chiara voce, benedice con una delle formule seguenti:

    - se la lettura è tratta dall'Antico Testamento: La lettura profetica ci illumini e ci giovi a salvezza.

    - se la lettura è tratta dal Nuovo Testamento: La lettura apostolica ci illumini e ci giovi a salvezza.

    - se la lettura è tratta dalla passione o dalla biografia del santo patrono o del titolare della Chiesa: La parola della Chiesa ci illumini e ci giovi a salvezza.

    - se il medesimo lettore proclama le due letture che precedono la proclamazione del vangelo: La parola di Dio ci illumini e ci giovi a salvezza.

    - se è lo stesso lettore che proclama sia la lettura ecclesiastica sia quella biblica, il sacerdote benedice con la formula seguente: Leggi nel nome del Signore.

    - invece di queste formule si può sempre usare quella breve: Leggi nel nome del Signore.

    Il lettore riceve la benedizione facendo il segno della croce. Per indicare la fine della lettura biblica, il lettore aggiunge: Parola di Dio. Tutti acclamano: Rendiamo grazie a Dio. Per indicare la fine della lettura dalla passione o dalla biografia, il lettore aggiunge: Lode e gloria al Signore nostro Gesù Cristo, che regna nei secoli dei secoli. Tutti acclamano: Amen.

    91. Dopo la lettura, il salmista o il cantore, o lo stesso lettore, legge (o canta) il salmo; il popolo vi prende parte con il ritornello (cfr. n. 35).

    92. Poi, se c'è una seconda lettura prima del vangelo, il lettore la proclama all'ambone, come si è detto sopra; tutti siedono e stanno in ascolto, e alla fine rispondono con l'acclamazione.

    93. Segue l'Alleluia o un altro canto, secondo il tempo liturgico (cfr. nn. 36-38).

    94. Mentre si canta l'Alleluia o un altro canto, se si usa l'incenso, il sacerdote lo mette nel turibolo. Quindi, a mani giunte, e inchinato davanti all'altare, dice sottovoce il Munda cor meum.

    95. Poi, se il libro dei vangeli è sull'altare, lo prende e, preceduto dai ministri, che possono portare l'incenso e i ceri, si reca all'ambone.

    96. All'ambone il sacerdote apre il libro e dice: Il Signore sia con voi, e quindi: Dal vangelo secondo N., tracciando con il pollice il segno di croce sul libro e sulla propria persona, in fronte, sulla bocca e sul petto. Poi, se si usa il turibolo, incensa il libro. Dopo l'acclamazione del popolo, il sacerdote legge ad alta voce il vangelo. Terminata la lettura, bacia il libro. Al vangelo segue l'acclamazione del popolo con le parole Lode a te, o Cristo.

    97. Quando manca il lettore, il sacerdote stesso proclama tutte le letture e, se necessario, anche i canti interlezionali, stando all'ambone. In questo caso non si invoca la benedizione. Quivi, se lo si usa, pone l'incenso nel turibolo e dice, inchinandosi, il Purifica il mio cuore (Munda cor meum).

    98. L'omelia si tiene alla sede o all'ambone.

    99.Dopo l'omelia o anche subito dopo la lettura del vangelo, si canta o si dice a voce alta il canto dopo il vangelo, come è stato spiegato al n. 41, mentre i ministri preparano l'altare.

    100. Poi si dice la preghiera universale o preghiera dei fedeli; il sacerdote la dirige dalla sede o dall'ambone; il popolo vi partecipa nella parte che gli spetta (cfr. n. 45).

    Liturgia eucaristica

    101.Dopo l'orazione a conclusione della liturgia della parola si può far seguire il rito della pace, secondo le norme già date (cf. n. 47), con l'invito Sia pace tra voi, e tutti secondo le consuetudini del luogo, si scambiano vicendevolmente un segno di pace e di amore fraterno. Il celebrante può dare il segno di pace ai ministri. Quindi ha inizio il canto di offertorio (cfr. n. 49).

    102. Sarà bene che la partecipazione dei fedeli si manifesti con l'offerta sia del pane e del vino per la celebrazione dell'eucaristia, sia di altri doni, per le necessità della Chiesa e dei poveri. Le offerte dei fedeli sono opportunamente ricevute dal sacerdote, aiutato dai ministri, che benedice i singoli offerenti dicendo: Ti benedica il Signore con questo tuo dono; e i doni, con l'aiuto dei ministri, vengono disposti in luogo adatto; invece il pane e il vino per l'eucaristia vengono portati all'altare.

    103. All'altare il sacerdote riceve dal ministro la patena con il pane; e, tenendola con entrambe le mani un po' sollevata sull'altare, recita la formula prescritta; quindi depone la patena con il pane sopra il corporale.

    104. Poi, stando a lato dell'altare, riceve dal ministro l'ampollina e versa il vino e un po' d'acqua nel calice, dicendo sottovoce la formula prescritta. Ritornato al centro dell'altare, prende il calice e, tenendolo un po' sollevato con entrambe le mani, dice la formula prescritta; quindi depone il calice sul corporale e, se occorre, lo copre con la palla.

    105. Infine, inchinandosi, dice sottovoce: In spiritu humilitatis.

    106. Il sacerdote, secondo l'opportunità, incensa i doni e l'altare sulla mensa; Il diacono incensa il sacerdote, poi l'altare girando attorno e il clero. Da ultimo il ministro incensa il diacono e il popolo.

    107. Dopo la preghiera In spiritu humilitatis, oppure dopo l'incensazione, il sacerdote, stando a lato dell'altare, se è necessario, si lava le mani con l'acqua versatagli dal ministro.

    108. Ritornato al centro dell'altare, il sacerdote, con le mani giunte, insieme con il popolo recita il Simbolo (Credo) (cfr. n. 44). Nel dire le parole: E per opera dello Spirito santo... si è fatto uomo, tutti si inchinano; nelle feste dell'Annunciazione (25 marzo), nel Natale del Signore (25 dicembre) e nella VI domenica di avvento, tutti genuflettono.

    109. Poi il sacerdote dice con le braccia allargate l'orazione sui doni; al termine il popolo acclama: Amen.

    110. Quindi il sacerdote inizia la preghiera eucaristica. Allargando le braccia, dice: Il Signore sia con voi; prosegue dicendo: In alto i nostri cuori, e intanto innalza le mani; poi, con le braccia aperte, soggiunge: Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. Dopo che il popolo ha risposto: E' cosa buona e giusta, il sacerdote continua il prefazio; e, al termine di esso, a mani giunte, canta o dice ad alta voce, insieme con i ministri e il popolo: Santo, santo, santo... (cfr. n. 56b).

    111. Il sacerdote prosegue la preghiera eucaristica, secondo le rubriche indicate in ogni formulario della preghiera stessa. Se il sacerdote celebrante è un vescovo, dopo le parole in unione con il nostro Papa N. aggiunge: e me, indegno tuo servo. L'ordinario del luogo dev'essere nominato con questa formula: in unione con il nostro Papa N. e il nostro Vescovo (o Vicario, Prelato, Prefetto, Abate) N. Nella preghiera eucaristica si possono nominare i vescovi coadiutori e ausiliari. Quando se ne debbano nominare parecchi si usa la formula generale: E il nostro Vescovo N. coi Vescovi suoi collaboratori (5).
    Poco prima della consacrazione, il ministro avverte, se ne è il caso, i fedeli con un segno di campanello. Così pure suona il campanello alle due elevazioni, secondo le consuetudini locali.

    112.Dopo l'elevazione del calice e la proclamazione dell'anamnesi con le parole Mistero della fede, il sacerdote restando al centro dell'altare, distende le braccia in forma di croce fino al termine del primo comma.

    113. Dopo la dossologia, che conclude la preghiera eucaristica, il sacerdote prende l'ostia, la spezza sopra la patena o sopra il calice e ne mette una particella nel calice; intanto la schola e il popolo cantano o recitano il canto allo spezzare del pane (cfr. n. 57c).

    114. Terminato il canto allo spezzare del pane, il sacerdote, a mani giunte, dice la monizione che precede l'orazione del Signore e recita poi il Padre nostro a braccia allargate, insieme con il popolo.

    115. Al termine del Padre nostro, il sacerdote, sempre con le braccia aperte, dice da solo l'embolismo Liberaci, o Signore, dopo il quale il popolo acclama: Tuo è il regno.

    116. Quindi il sacerdote, ad alta voce, dice la preghiera: Signore Gesù Cristo; poi, con il gesto delle mani (allargandole e ricongiungendole), annuncia la pace, dicendo: La pace e la comunione del Signore nostro Gesù Cristo siano sempre con voi. Il popolo, risponde: E con il tuo spirito. Poi, se il rito della pace non è stato compiuto, secondo l'opportunità, all'inizio della liturgia eucaristica, il sacerdote soggiunge: Scambiatevi un segno di pace.

    117. Quindi il sacerdote dice sottovoce la preghiera: Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi oppure Perceptio Corporis et Sanguinis.

    118. Terminata la preghiera, genuflette; prende l'ostia e, tenendola sollevata sopra la patena, rivolto al popolo, dice: Beati gli invitati... Ecco l'Agnello di Dio, e, insieme con il popolo, prosegue: O Signore, non sono degno, una sola volta.

    119. Poi, rivolto all'altare, il sacerdote dice sottovoce: Corpus Christi custodiat me in vitam aeternam, e con riverenza si ciba del corpo di Cristo. Quindi prende il calice, dicendo: Sanguis Christi custodiat me in vitam aeternam e con riverenza beve il sangue di Cristo.

    120. Prende poi la patena o la pisside e si porta verso i comunicandi. Tenendo l'ostia levata, la presenta a ciascuno di essi dicendo: Il corpo di Cristo. Questi risponde: Amen, e tenendo il piattello sotto il mento, riceve il Sacramento. Accanto all'uso della comunione sulla lingua, la Chiesa permette di dare l'eucaristia deponendola sulle mani dei fedeli protese entrambe verso il ministro, ad accogliere con rispetto e riverenza il corpo di Cristo. I fedeli sono liberi di scegliere fra i due modi ammessi.

    121. Per la comunione sotto le due specie, si segue il rito descritto più oltre (cfr. nn. 253-265).

    122. Mentre il sacerdote si comunica, si inizia il canto alla comunione (cfr. n. 57i).

    123. Terminata la distribuzione della comunione, il sacerdote ritorna all'altare e raccoglie i frammenti, se ce ne fossero; poi, stando a lato dell'altare o alla credenza, purifica la patena o la pisside sopra il calice, purifica poi il calice dicendo sottovoce: "Il sacramento ricevuto", e lo asterge con il purificatoio. Se i vasi sacri sono stati astersi all'altare, il ministro li porta alla credenza. I vasi sacri da purificare, soprattutto se fossero molti, si possono anche lasciare, opportunamente ricoperti, sull'altare o alla credenza, sopra il corporale; la purificazione si compie dopo la messa, una volta congedato il popolo.

    124. Compiute le purificazioni, il sacerdote può ritornare alla sede. Si può osservare, per un tempo conveniente, un «sacro silenzio», stando tutti seduti, oppure eseguire un canto di lode o un salmo (cfr. n. 56j).

    125. Poi, alla sede o all'altare, il sacerdote, rivolto al popolo, dice: Preghiamo e, a braccia allargate, dice l'orazione dopo la comunione, alla quale può premettere una breve pausa di silenzio, a meno che sia già stato osservato subito dopo la comunione. Al termine dell'orazione il popolo acclama: Amen.
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    "Principii e norme per l'uso del Messale Ambrosiano" Empty Re: "Principii e norme per l'uso del Messale Ambrosiano"

    Messaggio Da enricorns2 Gio Set 08, 2016 11:53 pm

    Riti di conclusione

    126. Detta l'orazione dopo la comunione, si possono dare, se occorre, brevi comunicazioni (o avvisi) al popolo.

    127. Poi il sacerdote, con il consueto gesto delle mani, saluta il popolo, dicendo: Il Signore sia con voi, a cui si risponde: E con il tuo spirito, Kyrie eleison, Kyrie eleison, Kyrie eleison. E subito il sacerdote soggiunge: Vi benedica Dio onnipotente e benedicendo prosegue: Padre e Figlio e Spirito santo. Il popolo risponde: Amen. In giorni e circostanze particolari, a questa formula di benedizione si premette, secondo le rubriche, un'altra formula, più solenne. Subito dopo la benedizione, il sacerdote, a mani giunte, aggiunge: Andiamo in pace e tutti rispondono: Nel nome di Cristo.

    128. Infine il sacerdote bacia l'altare in segno di venerazione. Poi, fatta con i ministri la debita riverenza, si ritira.

    129. Se alla messa seguisse un'altra azione liturgica, si tralasciano i riti di conclusione.

    B)MINISTERI DEL DIACONO

    130. Se vi è un diacono nell'esercizio del suo ministero, si osservano le norme indicate nel paragrafo precedente, eccetto quanto segue. In genere il diacono:

    a) assiste il sacerdote e sta al suo fianco, a meno che debba portare il libro del vangelo (cfr. n. 131);

    b) all'altare, svolge il suo servizio al calice;

    c) se non è presente nessun altro ministro, egli stesso compie secondo le necessità gli uffici degli altri ministri.

    131. Il diacono, rivestito delle vesti sacre, se porta il libro dei vangeli, precede il sacerdote nella processione verso l'altare, altrimenti sta al suo fianco.

    132. Fatta insieme con il sacerdote la debita riverenza all'altare, il diacono vi sale con lui. se porta il libro dei vangeli, lo depone sulla mensa e insieme con il sacerdote bacia l'altare in segno di venerazione. Quindi, se si usa l'incenso, assiste il sacerdote nell'infusione dell'incenso nel turibolo e nella incensazione della mensa dell'altare: egli stesso poi completa l'incensazione dell'altare girandogli intorno.

    133. Incensato l'altare, insieme con il sacerdote si reca alla sede; qui rimane accanto al sacerdote, prestandogli servizio secondo le necessità.

    Liturgia della parola

    134. Mentre si canta l'Alleluia o un altro canto, se si usa il turibolo, aiuta il sacerdote nell'infusione dell'incenso, quindi, se il libro dei vangeli è sull'altare, lo prende e si reca all'ambone, accompagnato, secondo l'opportunità, dai ministri con i candelieri e l'incenso. Qui, inchinandosi verso il sacerdote, chiede la benedizione dicendo a chiara voce: Benedicimi, padre. Il sacerdote lo benedice rispondendo a chiara voce: Il Signore sia nel tuo cuore... Il diacono fa il segno della croce e volto al popolo lo saluta, incensa il libro e proclama il vangelo. Terminata la lettura, bacia il libro in segno di venerazione, e ritorna al suo posto. Se invece non si tiene l'omelia, può rimanere all'ambone per la preghiera dei fedeli. Mentre i ministri ritornano al loro posto, si canta o si recita il canto dopo il vangelo.

    135. Alla preghiera dei fedeli, dopo l'introduzione del sacerdote, il diacono propone le varie intenzioni, stando all'ambone o in altro luogo adatto.

    Liturgia eucaristica

    136.Prima che i doni vengano portati all'altare, se il rito della pace è celebrato in questo momento, il diacono proclama: Sia pace tra voi o un'altra simile ammonizione. Il diacono riceve la pace dal sacerdote e la può dare ai ministri più vicini. All'offertorio, il diacono sta accanto al sacerdote e lo aiuta nel ricevere i doni del popolo. Presenta al sacerdote la patena con il pane da consacrare; versa il vino e un po' d'acqua nel calice, dicendo: Dal fianco aperto di Cristo uscì sangue ed acqua, e lo presenta poi al sacerdote. Però la preparazione del calice, cioè l'infusione del vino e dell'acqua, la può fare alla credenza. Se si usa l'incenso, assiste il sacerdote nell'incensazione delle offerte e dell'altare sulla mensa, poi lui stesso incensa il sacerdote, completa l'incensazione dell'altare girandogli attorno e incensa gli altri sacerdoti. Un ministro incensa il diacono e il popolo.

    137. Durante la preghiera eucaristica, il diacono sta ai lati dell'altare e attende, quando occorre, al calice.

    138. Alla dossologia finale della preghiera eucaristica, stando accanto al sacerdote, tiene sollevato il calice, mentre il sacerdote eleva la patena con l'ostia, finché il popolo non abbia acclamato l'Amen.

    139.Se la pace non è stata data prima dell'offertorio, il diacono, dopo che il sacerdote ha detto la preghiera per la pace e rivolto l'augurio: La pace e la comunione del Signore..., al quale il popolo risponde: E con il tuo spirito, secondo l'opportunità invita a darsi scambievolmente la pace, dicendo: Scambiatevi un segno di pace. Riceve dal sacerdote la pace e la può dare agli altri ministri più vicini.

    140. Dopo che il sacerdote si è comunicato, il diacono riceve la comunione sotto le due specie, quindi aiuta il sacerdote a distribuire la comunione al popolo. Se la comunione viene data sotto le due specie, porge il calice ai singoli, e beve al calice per ultimo.

    141. Compiuta la distribuzione della comunione, il diacono con il sacerdote ritorna all'altare, raccoglie i frammenti, se ve ne fossero, quindi porta alla credenza il calice e gli altri vasi sacri, che purifica e riordina, come di norma, mentre il sacerdote ritorna alla sede. I vasi sacri da purificare si possono anche lasciare opportunamente ricoperti alla credenza, sopra il corporale; la purificazione si compie dopo la messa, una volta congedato il popolo.

    Riti di conclusione

    142. Detta l'orazione dopo la comunione, il diacono dà brevemente al popolo le eventuali comunicazioni (o avvisi), a meno che il sacerdote preferisca darle personalmente.

    143. Dopo la benedizione del sacerdote, il diacono congeda il popolo dicendo: Andiamo in pace.

    144. Quindi, insieme con il sacerdote, bacia l'altare in segno di venerazione e, fatta la debita riverenza, ritorna con lui allo stesso modo come era venuto.

    C)MINISTERI DELL'ACCOLITO

    145. I ministeri che l'accolito può esercitare sono di vario genere; parecchi di questi possono presentarsi nella stessa celebrazione; è quindi conveniente che vengano opportunamente distribuiti tra diversi accoliti. Nel caso in cui ci sia presente un solo accolito, questi compia i ministeri di maggiore importanza, i rimanenti invece vengano distribuiti tra gli altri ministri.

    Riti iniziali

    146. Nella processione verso l'altare l'accolito può portare la croce tra due ministri con i ceri accesi. Giunto all'altare, deposta presso di esso la croce, si porta al suo posto in presbiterio.

    147. Durante la celebrazione, è ufficio dell'accolito avvicinarsi al sacerdote o al diacono quando occorre, per consegnare loro il libro e per aiutarli nelle varie funzioni secondo la necessità. Conviene quindi che, per quanto possibile, occupi un posto dal quale possa comodamente compiere il suo ministero, sia alla sede, sia all'altare.

    Liturgia eucaristica

    148. In assenza del diacono, durante il canto dopo il vangelo, mentre il sacerdote rimane alla sede l'accolito depone sopra l'altare il corporale, il purificatoio, i vasi sacri e il messale. Aiuta, se occorre, il sacerdote nel ricevere i doni del popolo e, secondo l'opportunità, porta all'altare il pane e il vino e li consegna al sacerdote. Se si usa l'incenso egli presenta il turibolo al sacerdote e lo assiste nell'incensazione dei doni e dell'altare.

    149. L'accolito può anche aiutare il sacerdote, come ministro straordinario, nella distribuzione della comunione al popolo (6).
    Se la comunione avviene sotto le due specie, egli offre il calice ai comunicandi, oppure lo sostiene se la comunione è fatta per intinzione.

    150. Terminata la distribuzione della comunione, aiuta il sacerdote o il diacono nel riordinare i vasi sacri. In assenza del diacono l'accolito porta i vasi sacri alla credenza e qui li purifica e li riordina.

    D)MINISTERI DEL LETTORE (3)

    Riti iniziali

    151. Nella processione verso l'altare, in assenza del diacono, il lettore può portare il libro dei vangeli, nel qual caso precede il sacerdote, diversamente sta con gli altri ministri.

    152. Giunto all'altare e fatta col sacerdote la debita riverenza, sale all'altare, vi depone il libro dei vangeli e si reca al proprio posto con gli altri ministri al presbiterio.

    Liturgia della parola

    153. Il lettore legge all'ambone le letture che precedono il vangelo. In mancanza del salmista può recitare anche il salmo responsoriale dopo la prima lettura.

    154. In assenza del diacono, dopo l'introduzione fatta dal sacerdote, il lettore può recitare le intenzioni della preghiera universale.

    155. Se all'ingresso, dopo il vangelo, allo spezzare del pane o alla comunione non si canta, e il testo proposto dal messale non viene recitato da parte dei fedeli, tale testo viene recitato dal lettore al momento opportuno (cfr. n. 26).

    II.Messe concelebrate

    156. La concelebrazione, nella quale si manifesta assai bene l'unità del sacerdozio, del sacrificio e del popolo di Dio, è prescritta dal rito stesso nell'ordinazione del vescovo e dei presbiteri, e nella messa crismale. E' raccomandata inoltre, a meno che l'utilità dei fedeli non richieda o suggerisca diversamente, nelle occasioni seguenti:

    a) il giovedì della Settimana santa, nella messa vespertina nella Cena del Signore;

    b) nelle messe celebrate in occasione di concili, di raduni di vescovi e di sinodi;

    c) nella messa per la benedizione di un abate;

    d) nella messa conventuale e nella messa principale nelle chiese e negli oratori;

    e) nelle messe in occasione di incontri di sacerdoti, siano essi secolari o religiosi (7).

    157. Quando vi è un numero considerevole di sacerdoti, il superiore competente può concedere che la concelebrazione abbia luogo più volte anche nello stesso giorno, ma in tempi successivi, o in luoghi sacri diversi (Cool.

    158. Spetta all'Ordinario, a norma del diritto, regolare la disciplina della concelebrazione nella sua diocesi, anche nelle chiese e negli oratori degli esenti (9).

    159. Nessuno, mai, venga ammesso a concelebrare a messa già iniziata (10).

    160. Particolare importanza si deve dare a quella concelebrazione, in cui i sacerdoti di una diocesi concelebrano con il proprio vescovo, specialmente nella messa crismale del giovedì santo, e in occasione del sinodo o della visita pastorale. Per lo stesso motivo si raccomanda la concelebrazione tutte le volte che i sacerdoti si radunano insieme con il proprio vescovo, sia in occasione di esercizi spirituali, sia per qualche altro convegno. In tali circostanze viene manifestato in modo più evidente quel segno dell'unità del sacerdozio, come pure della Chiesa stessa, che è proprio di ogni concelebrazione (11).

    161. Per motivi particolari, suggeriti o dal significato del rito o dalla solennità della festa, è concesso di celebrare o concelebrare più volte nello stesso giorno nei seguenti casi:

    a) al giovedì santo, chi ha celebrato o concelebrato la messa crismale, può celebrare o concelebrare la messa vespertina in Cena Domini;

    b) a Pasqua, chi ha celebrato o concelebrato la messa in nocte può celebrare o concelebrare la messa in die;

    c) nel Natale del Signore tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare le tre messe, purché lo facciano nelle ore corrispondenti;

    d) chi in occasione del sinodo, della visita pastorale o di incontri sacerdotali concelebra col vescovo o con un suo delegato, può di nuovo celebrare, a giudizio del vescovo stesso, per l'utilità dei fedeli (12).
    La stessa possibilità è data, con gli opportuni adattamenti, anche per le riunioni di religiosi con il proprio Ordinario o con un suo delegato.

    162. La messa concelebrata, in qualunque forma si svolga, si deve ordinare secondo il rito della messa celebrata individualmente, tenute presenti le norme e le varianti qui sotto indicate.

    163. Se alla messa concelebrata non prendono parte né il diacono né gli altri ministri, i compiti loro propri vengono assolti da alcuni concelebranti.

    Riti di introduzione

    164. I concelebranti, in sacrestia o in altro luogo adatto, indossano le vesti sacre che indossano abitualmente nella celebrazione individuale. Tuttavia per un ragionevole motivo, come ad esempio un numero notevole di concelebranti e la mancanza di paramenti, i concelebranti, fatta sempre eccezione per il celebrante principale, possono fare a meno della pianeta o casula, e usare soltanto la stola sopra il camice.

    165. Preparata a dovere ogni cosa, si fa, come di consueto, la processione attraverso la chiesa fino all'altare. I sacerdoti concelebranti precedono il celebrante principale.

    166. Giunti all'altare, i concelebranti e il celebrante principale fanno la debita riverenza, baciano l'altare in segno di venerazione, quindi si recano al posto loro assegnato. Il celebrante principale, secondo l'opportunità, incensa l'altare; si reca poi alla sede.

    Liturgia della parola

    167. Durante la liturgia della parola, i concelebranti stanno al loro posto, e nel sedere e nell'alzarsi si uniformano al celebrante principale.

    168. L'omelia è tenuta normalmente dal celebrante principale o da uno dei concelebranti.

    Liturgia eucaristica

    169. I riti di offertorio vengono compiuti dal celebrante principale; gli altri concelebranti restano al loro posto.

    170. Al termine dei riti di offertorio, i concelebranti si avvicinano all'altare disponendosi attorno ad esso, in modo però da non intralciare lo svolgimento dei riti, e permettere ai fedeli di vedere bene l'azione sacra, e al diacono di avvicinarsi facilmente all'altare per svolgere il suo ministero.

    Modo di recitare la preghiera eucaristica

    171. Il prefazio viene detto dal solo celebrante principale; il Sanctus viene cantato o recitato da tutti insieme con il popolo e la schola.

    172. Terminato il Sanctus, i concelebranti proseguono la recita della preghiera eucaristica, nel modo indicato più sotto. Soltanto il celebrante principale compie i gesti, salvo indicazioni in contrario.

    173. Nella preghiera eucaristica, le parti da recitarsi in comune devono essere pronunziate dai concelebranti a voce sommessa, in modo che si distingua chiaramente la voce del celebrante principale. In tal modo la preghiera è più facilmente intesa dal popolo.

    a)Preghiera eucaristica I

    174. Il celebrante principale da solo, con le braccia allargate, dice il Te igitur (Padre clementissimo).

    175. Il Memento dei vivi (Ricordati, Signore) e il Communicantes (In comunione con tutta la Chiesa) si possono affidare all'uno o all'altro dei concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

    176. Di nuovo il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice l'Hanc igitur (Accetta con benevolenza, o Padre).

    177. Tutti i concelebranti recitano insieme tutte le formule dal Quam oblationem fino al Supplices compreso, con queste modalità:

    a) Quam oblationem (Santifica, o Dio): con le mani stese verso le offerte;

    b) Qui pridie (La vigilia della sua passione e Simili modo (Dopo la cena): a mani giunte;

    c) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla elevazione i concelebranti sollevano lo sguardo verso l'Ostia e il Calice, e poi si inchinano profondamente;

    d) Unde et memores (Per questo, Padre) e Supra quae (Tu che hai voluto accettare): con le braccia allargate;

    e) Supplices (Ti supplichiamo, Dio onnipotente): stando inchinati e a mani giunte fino alle parole: perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare; poi, eretti, i concelebranti fanno il segno di croce alle parole: scenda la pienezza di ogni grazia e di ogni benedizione.

    178. Il Memento dei morti (Ricordati, o Padre) e il Nobis quoque minimis et peccatoribus (Anche a noi, tuoi ministri, ultimi e peccatori), si possono affidare all'uno o all'altro dei concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

    179. Alle parole Anche a noi, tuoi ministri, peccatori, tutti i concelebranti si battono il petto.

    180. Il celebrante principale, da solo, dice: Per quem haec omnia (Per Cristo, nostro Signore, tu, o Dio).

    181. In questa preghiera eucaristica, i testi dal Quam oblationem al Supplices compreso, come pure la dossologia finale, si possono eseguire in canto.

    b)Preghiera eucaristica II

    182. Il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice il Vere sanctus (Veramente santo).

    183. Tutti i concelebranti recitano insieme tutte le formule da Haec ergo dona fino a Et supplices, come segue:

    a) Haec ergo dona (Santifica questi doni): con le mani stese verso le offerte;

    b) Qui cum passioni (Egli, offrendosi liberamente) e Simili modo (Dopo la cena): a mani giunte;

    c) le parole del Signore, con la mano destra verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; all'elevazione i concelebranti sollevano lo sguardo verso l'Ostia e il Calice, e poi si inchinano profondamente;

    d) Memores igitur (Celebrando il memoriale) e Et supplices (Ti preghiamo umilmente): con le braccia allargate.

    184. Le intercessioni per i vivi: Recordare, Domine (Ricordati, Padre) e per i defunti Memento etiam fratrum nostrorum (Ricordati dei nostri fratelli), si possono affidare all'uno o all'altro dei concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

    185. I testi: Qui cum passioni, Simili modi, Memores igitur, come pure la dossologia finale di questa preghiera eucaristica si possono eseguire in canto.

    c)Preghiera eucaristica III

    186. Il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice il Vere sanctus (Veramente santo).

    187. Tutti i concelebranti recitano insieme tutte le formule da Supplices ergo te, Domine fino a Respice, quaesumus come segue:

    a) Supplices ergo te, Domine (Ora ti preghiamo umilmente): con le mani stese verso le offerte;

    b) Ipse enim in qua nocte tradebatur (Nella notte in cui fu tradito) e Simili modo (Dopo la cena): a mani giunte;

    c) le parole del Signore, con la mano destra verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; all'elevazione i concelebranti sollevano lo sguardo verso l'Ostia e il Calice, e poi si inchinano profondamente;

    d) Memores igitur (Celebrando il memoriale) e Respice, quaesumus (Guarda con amore): con le braccia allargate.

    188. Le intercessioni: Ipse nos (Egli faccia di noi) e Haec hostia nostrae reconciliationis (Per questo sacrificio di riconciliazione) si possono affidare all'uno o all'altro dei concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

    189. I testi: Ipse enim, Simili modo, Memores igitur, come pure la dossologia finale di questa preghiera eucaristica, si possono eseguire in canto.

    d)Preghiera eucaristica IV

    190. Il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice Confitemur tibi, Pater sancte (Noi ti lodiamo, Padre santo), fino a omnem sanctificationem compleret (e compiere ogni santificazione).

    191. Tutti i concelebranti recitano insieme tutte le formule da Quaesumus igitur, Domine fino a Respice, Domine, come segue:

    a) Quaesumus igitur, Domine (Ora ti preghiamo, Padre): con le mani stese verso le offerte;

    b) Ipse enim, cum hora venisset (Egli, venuta l'ora) e Simili modo (Allo stesso modo): a mani giunte;

    c) le parole del Signore, con la mano destra verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; all'elevazione i concelebranti sollevano lo sguardo verso l'Ostia e il Calice, e poi si inchinano profondamente;

    d) Unde et nos (In questo memoriale) e Respice, Domine (Guarda con amore): con le braccia allargate.

    192. Le intercessioni: Nunc ergo, Domine (Ora, Padre, ricordati) si possono affidare all'uno o all'altro dei concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

    193. I testi: Ipse enim, Simili modo, Unde et nos, come pure la dossologia finale di questa preghiera eucaristica, si possono eseguire in canto.

    e)Preghiera eucaristica V

    194. Il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice il Vere sanctus, vere benedictus (Veramente santo, veramente benedetto) fino a Sanguinem Domini nostri Iesu Christi (Del Corpo e del sangue del Signore nostro Gesù Cristo...).

    195. Tutti i concelebranti recitano insieme Ille enim se pro mundi redemptione (Per la redenzione del mondo) fino a docuit primus offerri (comandò di ripresentarne l'offerta), con le braccia allargate.

    196. Tutti i concelebranti recitano insieme tutte le formule da Qui pridie fino a eius nunc corpus tribuas ad salutem come segue:

    a) Qui pridie (Alla vigilia) e Simili modo (Dopo la cena): a mani giunte;

    b) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; all'elevazione i concelebranti sollevano lo sguardo verso l'Ostia e il Calice, e poi si inchinano profondamente;

    c) Haec facimus, haec celebramus (Obbedendo al divino comando): con le braccia allargate.

    197. L'intercessione Populum hunc acquisitionis tuae (Guarda propizio a questo popolo che è tuo possesso) si può affidare all'uno o all'altro dei concelebranti, che recita questa parte da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

    198. I testi da Qui pridie fino a mortem dominicam nuntiamus, come pure la dossologia finale di questa preghiera eucaristica si possono eseguire in canto.

    f)Preghiera eucaristica VI

    199. Il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice il Vere sanctus, vere benedictus (Veramente santo, veramente benedetto) fino a Iesus Christus Filius tuus (Gesù Cristo, Figlio tuo).

    200. Tutti i concelebranti recitano insieme con le braccia allargate da Qui cum Deus esset (Egli che è Dio infinito) fino a divina pietate reliquit (rende presenti sull'altare).

    201. Tutti i concelebranti recitano insieme tutte le formule da Pridie enim a veritatem dominici corporis et sanguinis hauriamus come segue:

    a) Pridie enim (La vigilia della sua passione) e Simili modo (Dopo la cena): a mani giunte;

    b) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; all'elevazione i concelebranti sollevano lo sguardo verso l'Ostia e il Calice, e poi si inchinano profondamente;

    c) Ipsius Filii tui praeceptum (Il mistero che celebriamo, o Padre): con le braccia allargate.

    202. L'intercessione Hoc vero, Pater omnipotens (Degnati, o Dio, di accogliere) si può affidare all'uno o all'altro dei concelebranti, che recita questa parte da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

    203. I testi da Pridie enim fino a veritatem dominici corporis et sanguinis hauriamus, come pure la dossologia finale di questa preghiera eucaristica si possono eseguire in canto.

    204. La dossologia finale della preghiera eucaristica viene recitata dal solo celebrante principale, oppure da tutti i concelebranti insieme con lui.

    Riti di comunione

    205. Mentre si canta o si dice il canto allo spezzare del pane alcuni dei concelebranti possono aiutare il celebrante principale nello spezzare le ostie per la comunione dei concelebranti e del popolo.

    206. Quindi il celebrante principale, compiuta la immixtio, dice, a mani giunte, la monizione prima della preghiera del Signore poi, con le braccia allargate, recita il Padre nostro insieme con gli altri concelebranti e con il popolo.

    207. Il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, prosegue: Liberaci, o Signore da tutti i mali. Al termine, tutti i concelebranti insieme con il popolo acclamano: Tuo è il regno.

    208. Dopo l'invito del diacono o di uno dei concelebranti: Scambiatevi un segno di pace, tutti si scambiano tra loro la pace, a meno che il rito non sia già stato compiuto all'inizio della liturgia eucaristica. Coloro che sono più vicini al celebrante principale ricevono da lui la pace prima del diacono.

    209. Dopo la pace e la comunione con il Signore, soltanto il celebrante principale recita sottovoce la preghiera: Domine Iesu Christe, Filii Dei vivi (Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo), oppure Perceptio corporis et sanguinis (La comunione con il tuo corpo e il tuo sangue).

    210. Terminata l'orazione prima della comunione, il celebrante principale genuflette e si scosta un poco dall'altare. I concelebranti uno dopo l'altro si accostano all'altare, genuflettono, prendono con devozione il corpo di Cristo e tenendo la mano sinistra sotto la destra, ritornano al loro posto. I concelebranti possono anche rimanere al loro posto e prendere il corpo di Cristo dalla patena presentata ai singoli dal celebrante principale o da uno o più concelebranti; possono anche passarsi l'un l'altro la patena.

    211. Poi il celebrante principale prende l'ostia e, tenendola un po' sollevata sopra la patena, rivolto al popolo dice: Beati gli invitati alla cena del Signore. Ecco l'Agnello di Dio, e prosegue insieme con i concelebranti e il popolo, dicendo: O Signore, non sono degno.

    212. Quindi il celebrante principale, rivolto verso l'altare, dice sottovoce: Corpus Christi custodiat me in vitam aeternam (Il corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna), e devotamente si comunica al corpo di Cristo. Allo stesso modo si comunicano i concelebranti. Dopo di loro il diacono riceve dal celebrante principale il corpo del Signore.

    213. La comunione al sangue di Cristo si può fare o bevendo direttamente dal calice, o con la cannuccia o il cucchiaino, o anche per intinzione.

    214. Se si fa la comunione direttamente al calice, si può fare in uno di questi modi:

    a) il celebrante principale prende il calice, dicendo sottovoce: Sanguis Christi custodiat me in vitam aeternam (Il sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna) e beve al calice, che consegna poi al diacono o a un concelebrante; quindi distribuisce la comunione ai fedeli, oppure ritorna alla sede. I concelebranti, uno dopo l'altro, oppure a due a due, se vi sono due calici, si accostano all'altare, bevono al calice e ritornano al loro posto. Il diacono o un concelebrante deterge il calice con il purificatoio dopo la comunione di ognuno dei concelebranti.

    b) Il celebrante principale, stando in mezzo all'altare, fa la comunione al sangue del Signore nel modo consueto. I concelebranti possono rimanere al loro posto, e far la comunione al sangue del Signore bevendo al calice che viene loro presentato dal diacono o da uno dei concelebranti; oppure anche passandosi il calice l'un l'altro. Il labbro del calice viene sempre asterso o da chi lo presenta ai singoli, o da colui che beve. Dopo essersi comunicato, ognuno ritorna al suo posto.

    215. Se la comunione viene fatta con la cannuccia, si svolge in questo modo: il celebrante principale prende la cannuccia, dicendo: Sanguis Christi custodiat me in vitam aeternam (Il sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna), beve il sangue del Signore e immediatamente purifica la cannuccia sorseggiando un po' d'acqua da un recipiente a suo tempo collocato sull'altare, e depone la cannuccia su un'apposita patena. Quindi il diacono, o uno dei concelebranti, colloca opportunamente il calice o in mezzo all'altare oppure al lato destro del medesimo, sopra un altro corporale. Vicino al calice si pone anche un recipiente con l'acqua per la purificazione delle cannucce, e una patena sopra la quale vengono deposte le cannucce. I concelebranti, uno dopo l'altro, si accostano all'altare, prendono la cannuccia e bevono il sangue del Signore, quindi purificano la cannuccia sorseggiando un po' d'acqua e depongono la cannuccia sopra l'apposita patena.

    216. Se la comunione al calice viene fatta con un cucchiaino, si svolge come la comunione con la cannuccia; si faccia però attenzione a deporre, dopo la comunione, il cucchiaino in un apposito recipiente con acqua che, finita la comunione, l'accolito porta a una credenza, per lavarvi e asciugarvi tutti i cucchiaini.

    217. Il diacono, per ultimo si comunica al sangue del Signore: quindi beve quanto è rimasto; porta poi il calice alla credenza, dove compie la purificazione; come di consueto, asterge e riordina il calice.

    218. La comunione dei sacerdoti concelebranti può anche essere ordinata in modo che la comunione al corpo e, subito dopo, al sangue del Signore, venga fatta dai singoli all'altare. In questo caso, il celebrante principale si comunica sotto le due specie, come quando celebra la messa da solo, attenendosi tuttavia al rito scelto nei singoli casi per la comunione al calice: rito al quale devono conformarsi tutti gli altri concelebranti. Dopo che il celebrante principale si è comunicato, il calice viene deposto verso il lato destro dell'altare, sopra un altro corporale. I concelebranti, uno dopo l'altro, si portano al centro dell'altare, genuflettono e si comunicano al corpo del Signore; successivamente, al lato destro dell'altare, si comunicano al sangue del Signore, secondo il rito adottato per la comunione al calice, come è detto sopra. La comunione del diacono e la purificazione del calice si svolgono secondo le modalità sopra indicate.

    219. Se la comunione dei concelebranti si fa per intinzione, il celebrante principale si comunica al corpo e al sangue del Signore nel modo consueto, facendo però attenzione a lasciare nel calice una quantità sufficiente per la comunione dei concelebranti. Poi il diacono, oppure uno dei concelebranti, dispone opportunamente il calice, o in mezzo all'altare o sul lato destro (sopra un altro corporale) insieme con la patena che contiene le ostie. I concelebranti, uno dopo l'altro, si accostano all'altare, genuflettono, prendono l'ostia, la intingono nel calice e, tenendo la patena sotto il mento, si comunicano; ritornano poi al loro posto, come all'inizio della messa. Il diacono riceve la comunione per intinzione da un concelebrante e risponde Amen quando questi dice: Corpus et sanguis Christi (Il corpo e il sangue di Cristo). Quindi il diacono, all'altare, beve quanto è rimasto nel calice, poi lo porta alla credenza, dove compie la purificazione, asterge il calice e lo riordina come di consueto.

    RIti di conclusione

    220. Il celebrante principale compie i riti di conclusione nel modo consueto, mentre i concelebranti rimangono al loro posto.

    221. Prima di allontanarsi, i concelebranti fanno all'altare la debita riverenza. Il celebrante principale bacia l'altare in segno di venerazione.

    III.Messa senza il popolo (4)

    222. Si tratta della messa celebrata dal sacerdote, con la sola presenza di un ministro, che gli risponde.

    223. Questa messa segue in generale il rito della messa con il popolo; il ministro pronunzia eventualmente le parti che spettano al popolo e, lodevolmente, legge i canti all'ingresso, dopo il vangelo, allo spezzare del pane e alla comunione.

    224. Non si celebri la messa senza ministro o senza la presenza di almeno qualche fedele o di un ministro se non per una causa giusta e ragionevole; in questo caso, si tralasciano tutti i saluti e si omette la benedizione al termine della messa.

    225. Prima della messa si prepara il calice sopra la credenza vicino all'altare, oppure sull'altare; il messale invece viene collocato al lato sinistro dell'altare.

    Riti di introduzione

    226. Il sacerdote, dopo la debita riverenza all'altare, fa il segno di croce dicendo: In nomine Patris (Nel nome del Padre); rivolgendosi al ministro, lo saluta con una delle formule proposte e, sempre ai piedi dell'altare, compie l'atto penitenziale.

    227. Sale poi all'altare e lo bacia in segno di venerazione; quindi si porta al messale, al lato sinistro dell'altare, dove rimane sino al termine dell'orazione a conclusione della liturgia della parola.

    228. Si legge il canto all'ingresso e il celebrante dice il Gloria, secondo le rubriche.

    229. Poi, a mani giunte, dice Oremus (Preghiamo) e, dopo una conveniente pausa, recita, con le braccia allargate, la colletta, al termine della quale il ministro risponde: Amen.

    230. Dopo l'orazione, il ministro oppure il sacerdote medesimo legge la prima lettura e il salmo e, quando si deve dire, la seconda lettura e il versetto alleluiatico, o un altro canto.

    231. Quindi, rimanendo nello stesso posto, il sacerdote, inchinandosi, recita il Munda cor meum (Purifica il mio cuore) e legge il vangelo. Alla fine bacia il libro in segno di venerazione. Il ministro risponde con l'acclamazione.

    232. Poi il sacerdote, insieme con il ministro, recita il canto dopo il vangelo.

    233. Segue la preghiera universale, che si può dire anche in questa messa. Il sacerdote formula le intenzioni, e il ministro risponde. Al termine il sacerdote dice l'orazione a conclusione della liturgia della parola, che non va mai tralasciata.

    234. Si tralascia il canto di offertorio. Celebrato secondo l'opportunità, il rito della pace, il ministro depone sull'altare il corporale, il purificatoio e il calice, a meno che non vi siano già stati posti all'inizio della messa.

    235. Si depongono pane e vino sull'altare, dopo aver fatto l'infusione dell'acqua, nel modo indicato nella messa con il popolo, recitando le formule indicate nel rito della messa. Quindi il sacerdote, se è necessario, si lava le mani, stando a lato dell'altare, mentre il ministro versa l'acqua.

    236. In mezzo all'altare il sacerdote recita il Simbolo (Credo), secondo le norme, insieme con il ministro, poi dice l'orazione sui doni e la preghiera eucaristica attenendosi ai riti descritti nella messa con il popolo.

    237. Al termine della dossologia che conclude la preghiera eucaristica, il sacerdote dice il canto allo spezzare del pane, quindi spezza l'ostia sopra la patena o sopra il calice e compie l'immixtio.

    238. La preghiera del Signore (Padre nostro) con il suo embolismo si recita come nella messa con il popolo.

    239. Dopo l'acclamazione al termine dell'embolismo, il sacerdote dice la preghiera: Domine Iesu Christe (Signore Gesù Cristo), quindi soggiunge: Pax et communicatio Domini nostri Iesu Christi sit semper vobiscum (La pace e la comunione del Signore nostro Gesù Cristo sia sempre con voi), e il ministro risponde: Et cum spiritu tuo (E con il tuo spirito). Se lo ritiene opportuno, il sacerdote offre la pace al ministro, a meno che non l'abbia già fatto precedentemente.

    240. il sacerdote dice la preghiera Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi (Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo), oppure Perceptio corporis et sanguinis (La comunione con il tuo corpo e il tuo sangue); quindi genuflette, prende l'ostia e, se il ministro fa la comunione, si volta verso di lui: tenendo l'ostia un po' sollevata sopra la patena dice: Beati gli invitati... Ecco l'Agnello di Dio e recita con lui, una sola volta: O Signore non sono degno. Rivolto poi verso l'altare, si comunica al corpo di Cristo. Se invece il ministro non si comunica, il sacerdote prende l'ostia e, stando rivolto all'altare, dice una volta sola, sottovoce: Domine non sum dignus (O Signore, non sono degno), e si comunica al corpo del Signore. La comunione al sangue di Cristo si fa nel modo descritto nel rito della messa con il popolo.

    241. Prima di dare la comunione al ministro, il sacerdote legge il canto alla comunione.

    242. La purificazione del calice si fa a lato dell'altare. Poi il calice può essere portato dal ministro sulla credenza o anche lasciato sull'altare, come all'inizio.

    243. Dopo aver purificato il calice, il sacerdote può fare una pausa di silenzio; poi dice l'orazione dopo la comunione.

    Riti di conclusione

    244. I riti di conclusione si svolgono come nella messa con il popolo; si tralascia però il congedo: Andiamo in pace.

    IV.Alcune norme di carattere generale per tutte le forme di messa

    Venerazione dell'altare e del libro dei vangeli

    245. Secondo l'uso tramandato nella liturgia, la venerazione all'altare e al libro dei vangeli si esprime con il bacio.

    246. Durante la messa si fanno tre genuflessioni: dopo l'elevazione dell'ostia, dopo l'elevazione del calice e prima della comunione. Ma se nel presbiterio ci fosse il tabernacolo con il SS. Sacramento, si genuflette anche prima e dopo la messa, e tutte le volte che si passa davanti al tabernacolo.

    247. Vi sono due specie di inchino: del capo e del corpo:

    a) L'inchino del capo si fa quando vengono nominate insieme le tre divine Persone; al nome di Gesù, della beata vergine Maria e del santo in onore del quale si celebra la messa.

    b) L'inchino di tutto il corpo, o inchino profondo, si fa: all'altare, se non vi è il tabernacolo con il SS. Sacramento; mentre si dicono le preghiere Munda cor meum (Purifica il mio cuore) e In spiritu humilitatis (Umili e pentiti); nel Simbolo (Credo) alle parole: Et incarnatus est (E per opera dello Spirito santo); nella preghiera eucaristica I alle parole: Supplices te rogamus (Ti supplichiamo, Dio onnipotente). Il lettore e il diacono compiono lo stesso inchino mentre chiedono la benedizione prima di proclamare le letture e il vangelo. Inoltre il sacerdote, alla consacrazione, si inchina leggermente mentre proferisce le parole del Signore. I concelebranti si inchinano profondamente sia dopo l'elevazione dell'ostia, sia dopo l'elevazione del calice.

    L'incensazione

    248. L'uso dell'incenso in qualsiasi forma di messa è facoltativo. Si può usare l'incenso:

    a) durante la processione d'ingresso;

    b) all'inizio della messa, per incensare l'altare;

    c) alla processione e alla proclamazione del vangelo;

    d) all'offertorio, per incensare le offerte, l'altare, il sacerdote e il popolo;

    e) alla presentazione al popolo dell'ostia e del calice dopo la consacrazione.

    249. Il sacerdote mette l'incenso nel turibolo e lo benedice tracciando un segno di croce, senza nulla dire. L'incensazione dell'altare si svolge in questo modo:

    a) Se l'altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa sulla mensa, il diacono prosegue l'incensazione, girando intorno all'altare stesso.

    b) Se l'altare è addossato alla parete, il sacerdote muovendosi incensa prima la parte destra poi quella sinistra. La croce, se è sopra l'altare o accanto ad esso, viene incensata prima dell'altare; se invece si trova dietro l'altare, viene incensata quando il sacerdote o il diacono le passa davanti.

    La purificazione

    250. Ogni volta che qualche frammento di ostia rimane attaccato alle dita, soprattutto dopo la frazione o dopo la comunione dei fedeli, il sacerdote asterge le dita sulla patena, oppure, se necessario, lava le dita stesse. Così pure raccoglie eventuali frammenti fuori della patena.

    251. I vasi sacri vengono purificati dal sacerdote o dal diacono, possibilmente alla credenza, dopo la comunione, oppure dopo la messa. La purificazione del calice si fa con acqua e vino, oppure soltanto con acqua, che viene bevuta da colui che purifica. La patena si asterge normalmente con il purificatoio.

    252. Se un'ostia o una particola scivolasse via, si raccolga con rispetto; se poi si versasse qualche goccia del sangue del Signore, si lavi il luogo con acqua.

    La comunione sotto le due specie

    253. La santa comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico, e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel sangue del Signore, ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre (13).

    254. I pastori d'anime si facciano un dovere di ricordare, nel modo più adatto, ai fedeli che partecipano al rito o che vi assistono, la dottrina cattolica riguardo alla forma della comunione, secondo il concilio di Trento. In particolare ricordino ai fedeli quanto insegna la fede cattolica: che, cioè, anche sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero e il sacramento in tutta la sua verità; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti della comunione, coloro che ricevono una sola specie, non rimangono privi di nessuna grazia necessaria alla salvezza (14).
    Inoltre insegnino che nell'amministrazione dei sacramenti, salva la loro sostanza, la Chiesa ha il potere di determinare o cambiare ciò che essa ritiene più conveniente per la venerazione dovuta ai sacramenti stessi e per l'utilità di coloro che li ricevono secondo la diversità delle circostanze, dei tempi e dei luoghi (15).
    Nello stesso tempo però esortino i fedeli perché partecipino più intensamente al sacro rito, nella forma in cui è posto in maggior evidenza il segno del banchetto.

    255. Secondo il giudizio dell'ordinario, e previa una conveniente catechesi, si concede la comunione al calice nei casi seguenti (16):

    1) ai neofiti adulti, nella messa che segue il loro battesimo; ai cresimati adulti, nella messa della loro confermazione; ai battezzati che vengono accolti nella comunione della Chiesa;

    2) agli sposi, nella messa del loro matrimonio;

    3) ai diaconi, nella messa della loro ordinazione;

    4) alla badessa, nella messa della sua benedizione; alle vergini, nella messa della loro consacrazione; ai professi (di ambo i sessi) e ai loro genitori, parenti e confratelli nella messa in cui emettono per la prima volta i voti religiosi, o li rinnovano, o fanno la professione perpetua;

    5) a coloro che ricevono un ministero, nella messa della loro istituzione; ai coadiutori missionari laici, nella messa in cui sono ufficialmente mandati, e a quanti altri ricevono durante la messa una missione da parte della Chiesa;

    6) a un infermo, e a tutti coloro che lo assistono, nell'amministrazione del viatico, quando si celebra la messa nell'abitazione del malato;

    7) al diacono e ai ministri che esercitano il loro ufficio nella messa;

    Cool nella messa concelebrata:

    a) a tutti coloro che nella concelebrazione stessa svolgono un vero ufficio liturgico, e a tutti gli alunni dei seminari che vi prendono parte;

    b) nelle loro chiese od oratori, anche a tutti i membri degli istituti che professano i consigli evangelici; ai membri delle altre società, che si consacrano a Dio con i voti religiosi, o una oblazione o una promessa; inoltre a tutti coloro che vivono giorno e notte nella casa dei membri di quegli istituti e di quelle società;

    9) ai sacerdoti che prendono parte a grandi celebrazioni e non possono celebrare o concelebrare;

    10) a tutti coloro che prendono parte agli esercizi spirituali, nella messa che, durante questi esercizi, viene celebrata per loro, e alla quale essi partecipano attivamente; a tutti coloro che prendono parte a una riunione pastorale nella messa celebrata in forma comunitaria;

    11) alle persone di cui ai nn. 2 e 4, nella messa del loro giubileo;

    12) al padrino, alla madrina, ai genitori e al coniuge nonché ai catechisti laici del battezzato adulto, nella messa della sua iniziazione cristiana;

    13) ai genitori, ai familiari, ai benefattori insigni, che partecipano alla messa di un sacerdote novello;

    14) a tutti membri degli istituti religiosi e secolari, maschili e femminili, e a tutti i membri delle case di educazione o formazione sacerdotale o religiosa, quando partecipano alla messa della comunità, a norma del n. 77.

    15) a tutti i partecipanti alla messa comunitaria in occasione di un incontro di preghiera o di un convegno pastorale.

    16) a tutti i partecipanti a messe che già comportano, per alcuni dei presenti, la comunione sotto le due specie, a norma del n. 255.

    17) in occasioni di celebrazioni particolarmente espressive del senso della comunità cristiana raccolta attorno all'altare.

    256. Per distribuire la comunione sotto le due specie, si devono preparare:

    a) se la comunione al calice si fa con la cannuccia, cannucce d'argento per il celebrante e per i singoli comunicandi, inoltre un recipiente con acqua per purificare le cannucce e una patena per deporvele;

    b) un cucchiaino, se col cucchiaino viene somministrato il sangue del Signore;

    c) se la comunione sotto le due specie viene distribuita per intinzione, ostie né troppo sottili né troppo piccole, ma un poco più consistenti del solito, perché si possano convenientemente distribuire, dopo averle intinte parzialmente nel sangue del Signore.

    1.Rito della comunione sotto le due specie bevendo direttamente dal calice

    257. Se vi è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito, o in mancanza di questi, un ministro straordinario debitamente autorizzato:

    a) Il celebrante si comunica al corpo e al sangue del Signore come al solito, facendo in modo che nel calice rimanga una quantità sufficiente per coloro che riceveranno la comunione; asterge poi l'esterno del calice con il purificatoio.

    b) Il celebrante consegna al ministro il calice e il purificatoio; prende poi la patena o la pisside con le ostie; quindi celebrante e diacono si portano dove possono più comodamente dare la comunione ai fedeli.

    c) I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e si portano davanti al celebrante, il quale presenta a ciascuno l'ostia, dicendo: Corpus Christi (Il corpo di Cristo); il comunicando risponde: Amen, e riceve dal sacerdote il corpo del Signore.

    d) Quindi il comunicando si porta davanti al diacono, il quale a sua volta dice: Sanguis Christi (Il sangue di Cristo); il comunicando risponde: Amen, e, per comodità, egli stesso con le sue mani accosta alle labbra il calice, che gli viene presentato dal diacono; beve e restituisce al diacono, che asterge con il purificatoio il labbro esterno del calice.

    e) Terminata la comunione al calice, il diacono depone il calice sull'altare. Il celebrante distribuisce la comunione agli altri fedeli che eventualmente la ricevono sotto una sola specie; e poi torna all'altare, dove egli stesso, o il diacono, beve il resto del vino consacrato e fa le purificazioni come di consueto.

    258. Se non è presente il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito, né un ministro straordinario debitamente autorizzato:

    a) Il celebrante si comunica al corpo e al sangue del Signore come al solito, facendo in modo che nel calice rimanga una quantità sufficiente per coloro che riceveranno la comunione; asterge poi l'esterno del calice con il purificatoio.

    b) Quindi il celebrante si porta dove può dare più comodamente la comunione, e distribuisce nel modo consueto il corpo del Signore a ognuno dei fedeli che si comunicano sotto le due specie; questi si avvicinano e, facendo la debita riverenza, vanno davanti al celebrante, dal quale ricevono il corpo del Signore, poi si spostano alquanto.

    c) Dopo che i singoli comunicandi hanno ricevuto il corpo del Signore, il celebrante depone la pisside sopra l'altare e prende il calice con il purificatoio. Quelli che devono comunicarsi al calice, a uno a uno si portano di nuovo davanti al celebrante, il quale dice: Sanguis Christi (Il sangue di Cristo); il comunicando risponde: Amen, e, per comodità, egli stesso con le sue mani accosta alle labbra il calice, che gli viene presentato dal sacerdote; beve e restituisce al celebrante, che asterge con il purificatoio il labbro esterno del calice.

    d) Terminata la comunione al calice, il celebrante depone il calice sull'altare e, se vi fossero altri fedeli da comunicare sotto una sola specie, dà loro la comunione nella forma consueta; ritorna poi all'altare, beve il resto del vino consacrato e fa le purificazioni come di consueto.

    2.Rito della comunione sotto le due specie per intinzione

    259. Se è presente un diacono o un altro sacerdote o un accolito o in mancanza di questi, un ministro straordinario debitamente autorizzato:

    a) Il celebrante gli consegna il calice e il purificatoio, egli invece prende la patena o la pisside con le ostie; quindi il celebrante con il diacono del calice si porta al luogo dove più comodamente può distribuire la comunione.

    b) I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e si portano davanti al celebrante; questi intinge parte dell'ostia nel calice e presentandola a ciascuno dice: Corpus et sanguis Christi (Il corpo e il sangue di Cristo). Il comunicando, tenendo la patena sotto il mento, risponde: Amen, e riceve dal sacerdote l'eucaristia; ritorna poi al suo posto.

    c) Si distribuisce poi la comunione a coloro che ricevono l'eucaristia sotto una sola specie, si consuma il resto del vino consacrato e si fanno le purificazioni nel modo detto sopra.

    260. Se non è presente il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito né un ministro straordinario debitamente autorizzato:

    a) Il celebrante, dopo che si è comunicato al sangue del Signore, prende il calice tra il pollice e l'indice della mano sinistra, e, tenendo la patena o la pisside con le ostie tra l'indice e il medio della stessa mano, si porta dove più comodamente può distribuire la comunione.

    b) I comunicandi si avvicinano a uno a uno, fanno la debita riverenza, e si portano davanti al celebrante; questi intinge parte dell'ostia nel calice e, presentandola a ciascuno, dice: Corpus et sanguis Christi (Il corpo e il sangue di Cristo). Il comunicando, tenendo la patena sotto il mento, risponde: Amen, e riceve dal sacerdote l'eucaristia; ritorna poi al suo posto.

    c) Si può anche collocare in un luogo adatto un piccolo tavolo con tovaglia e corporale, su cui il celebrante depone il calice o la pisside per rendere più facile la distribuzione della comunione.

    d) Il celebrante può far sorreggere il calice (o la pisside) da un fedele debitamente preparato.

    e) Si distribuisce poi la comunione a coloro che ricevono l'eucaristia sotto una sola specie, si consuma il resto del vino consacrato e si fanno le purificazioni nel modo detto sopra.

    3.Rito della comunione sotto le due specie con la cannuccia

    261. Anche il celebrante si serve della cannuccia per comunicarsi al sangue del Signore.

    262. Se è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito o, in mancanza di questi, un ministro straordinario debitamente autorizzato:

    a) Per la comunione al corpo e al sangue del Signore ci si attiene a quanto è stato detto sopra al n. 257, comma b) e c).

    b) Successivamente il comunicando si porta davanti al diacono, il quale dice: Sanguis Christi (Il sangue di Cristo); il comunicando risponde: Amen, e con la cannuccia che il ministro gli presenta, beve dal calice il sangue del Signore. Quindi, facendo attenzione a non lasciarne cadere qualche goccia, con la medesima cannuccia sorseggia un po' d'acqua dal recipiente che un ministro tiene in mano: poi depone la cannuccia in un altro recipiente, che gli viene presentato dallo stesso ministro.

    263. Se non è presente il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito, né un ministro straordinario debitamente autorizzato, il celebrante medesimo presenta il calice a ciascuno dei comunicandi, secondo il rito descritto sopra per la comunione al calice (n. 258), e un ministro accanto a lui tiene il recipiente con l'acqua per purificare la cannuccia.

    4.Rito della comunione sotto le due specie con il cucchiaino

    264. Se è presente il diacono o un altro sacerdote o un accolito, o, in mancanza di questi, un ministro straordinario debitamente autorizzato, questi tiene nella mano sinistra il calice, e a ogni comunicando che gli si accosta reggendo il piattello sotto il mento, distribuisce con il cucchiaino il sangue del Signore, dicendo: Sanguis Christi (Il sangue di Cristo), e badando a non toccare con il cucchiaino le labbra o la lingua dei comunicandi.

    265. Se non c'è il diacono, né un altro sacerdote, né un accolito, né un ministro straordinario debitamente autorizzato, il celebrante stesso, dopo che i comunicandi sotto le due specie hanno ricevuto il corpo del Signore, distribuisce loro anche il sangue.






    1.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 41.
    2.Cfr. Ibidem, n. 42; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 26: AAS 59 (1967) p. 555; Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 28; Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 5.
    3.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 47: AAS 59 (1967) p. 565; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Dichiarazione sulla concelebrazione, 7 agosto 1972: AAS 64 (1972 pp. 561-563.
    4.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 26: AAS 59 (1967) p. 555; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, nn. 16, 27: AAS 59 (1967) pp. 305-308.
    5.Cfr. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Decr. 9 ottobre 1972: AAS 64 (1972) pp. 692-694.
    6.Cfr. Paolo VI, Lettera Apostolica Ministeria quaedam, 15 agosto 1972, n. VI: AAS 64 (1972) p. 532.
    7.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 57.
    8.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 47: AAS 59 (1967) p. 566.
    9.Cfr. Ritus servandus in concelebratione Missae, n. 3.
    10.Cfr. Ibidem, n. 8.
    11.Cfr. Congregazione dei Riti, Decreto Ecclesia semper, 7 marzo 1965: AAS 57 (1965) pp. 410-412; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 47: AAS 59 (1967) p. 565.
    12.Cfr. Ritus servandus in concelebratione Missae, n. 9; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Dichiarazione sulla concelebrazione, 7 agosto 1972: AAS 64 (1972) pp. 561-563.
    13.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 32: AAS 59 (1967) p. 558.
    14.Cfr. Concilio Tridentino, Sessione XXI, Decreto sulla comunione eucaristica, c. 1-3: Denz. 929-932 (1725-1729).
    15.Cfr. ibidem, c. 2; Denz. 931 (1728).
    16.Cfr. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Sacramentali Communione, 29 giugno 1970: AAS 62 (1970) pp. 664-667; Nota pastorale della CEI sulla comunione sotto le due specie, 16 gennaio 1975; cfr. Liturgia 206-207 (1975) pp. 937-945
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    Messaggio Da enricorns2 Gio Set 08, 2016 11:54 pm

    CAPITOLO V
    DISPOSIZIONE E ARREDAMENTO DELLE CHIESE PER LA CELEBRAZIONE DELL'EUCARISTIA
    I. Principi generali

    266. Per la celebrazione dell'eucaristia, il popolo di Dio si riunisce di solito nella Chiesa oppure, in mancanza di questa, in un altro luogo decoroso che sia degno di un così grande mistero. Quindi le chiese, o gli altri luoghi, si prestino alla celebrazione delle azioni sacre e all'attiva partecipazione dei fedeli. Inoltre i luoghi sacri e le cose che servono al culto siano davvero degne, belle, segni e simboli delle realtà celesti (1).

    267. Pertanto la Chiesa non cessa di fare appello al nobile servizio delle arti, e ammette le forme artistiche di tutti i popoli e di tutti i paesi (2). Anzi, come si sforza di conservare le opere d'arte e i tesori che i secoli passati hanno trasmesso (3) e, per quanto è possibile, cerca di adattarli alle nuove esigenze, cerca pure di promuovere nuove forme corrispondenti all'indole di ogni epoca (4). Perciò nella formazione degli artisti come pure nella scelta delle opere da ammettere nella Chiesa, si ricerchino gli autentici valori dell'arte, che alimentino la fede e la devozione e corrispondano alla verità del loro significato e al fine cui sono destinati (5).

    268. Tutte le chiese si dovranno solennemente dedicare o almeno benedire. La dedicazione è però sempre obbligatoria per le chiese cattedrali e per quelle parrocchiali. I fedeli, poi, tengano nel dovuto onore la chiesa cattedrale della loro diocesi e la propria chiesa parrocchiale; e considerino l'una e l'altra segno di quella Chiesa spirituale alla cui edificazione e sviluppo sono chiamati dalla loro professione cristiana.

    269. Tutti coloro che sono interessati alla costruzione, al restauro e al riordinamento delle chiese, consultino la commissione diocesana di liturgia e arte sacra. L'Ordinario del luogo, poi, si serva del consiglio e dell'aiuto della stessa commissione quando si tratta di dare norme in questa materia o di approvare progetti di nuove chiese o di definire questioni di una certa importanza (6).

    II. Disposizione della chiesa per l'assemblea eucaristica

    270. Il popolo di Dio, che si raduna per la messa, ha una struttura organica e gerarchica, che si esprime nei vari compiti (o ministeri) e nel diverso comportamento secondo le singole parti della celebrazione. Pertanto è necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l'immagine dell'assemblea riunita, consentire l'ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno. I fedeli e la schola avranno un posto che renda più facile la loro partecipazione attiva (7). Il sacerdote invece e i suoi ministri prenderanno posto nel presbiterio, ossia in quella parte della Chiesa che manifesta il loro ministero, e in cui ognuno rispettivamente presiede all'orazione, annuncia la parola di Dio e serve all'altare. Queste disposizioni servono a esprimere la struttura gerarchica e la diversità dei compiti (o ministeri), ma devono anche assicurare una più profonda e organica unità, attraverso la quale si manifesti chiaramente l'unità di tutto il popolo santo. La natura poi e la bellezza del luogo e di tutta la suppellettile devono favorire la pietà e manifestare la santità dei misteri che vengono celebrati.

    III. Il presbiterio

    271. Il presbiterio si deve opportunamente distinguere dalla navata della Chiesa per mezzo di una elevazione, o mediante strutture e ornamenti particolari. Sia inoltre di tale ampiezza da consentire un comodo svolgimento dei sacri riti (Cool.

    IV. L'altare

    272. L'altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la messa; l'altare è il centro dell'azione di grazie che si compie con l'eucaristia (9).

    273. La celebrazione dell'eucaristia in un luogo sacro, si deve compiere sopra un altare fisso o mobile; fuori del luogo sacro, invece, specie se fatta ad modum actus, si può compiere anche sopra un tavolo adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale.

    274. L'altare si dice «fisso» se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece «mobile» se lo si può trasportare.

    275. Nella chiesa vi sia di norma l'altare fisso e dedicato, costruito ad una certa distanza dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l'attenzione di tutta l'assemblea (10).

    276. Secondo un uso e un simbolismo tradizionali nella Chiesa, la mensa dell'altare fisso sia di pietra, e più precisamente di pietra naturale. Tuttavia, a giudizio della competente autorità, si può adoperare anche un'altra materia degna, solida e ben lavorata. Gli stipiti però e la base per sostenere la mensa possono essere di qualsiasi materiale, purché conveniente e solido.

    277. L'altare mobile può essere costruito con qualsiasi materiale di un certo pregio e solido, confacente all'uso liturgico, secondo lo stile e gli usi locali delle diverse regioni.

    278. Gli altari, sia fissi che mobili, si dedicano secondo il rito descritto nei libri liturgici; tuttavia gli altari mobili possono anche essere soltanto benedetti. Non vi è alcun obbligo di inserire la pietra consacrata nell'altare mobile o nel tavolo sul quale si compie la celebrazione fuori del luogo sacro (cfr. n. 273).

    279. Si mantenga l'uso di collocare sotto l'altare da dedicare le reliquie dei santi, anche se non martiri. Però si curi di verificare l'autenticità di tali reliquie.

    280. Gli altri altari siano ridotti di numero e, nelle nuove chiese, siano collocati in cappelle, separate in qualche modo dalla navata della chiesa (11).

    V. La suppellettile dell'altare

    281. Per rispetto verso la celebrazione del memoriale del Signore e verso il convito nel quale vengono presentati il corpo e il sangue di Cristo, si distenda sopra l'altare almeno una tovaglia, che sia adatta alla struttura dell'altare per la forma, la misura e l'ornamento.

    282. I candelieri, richiesti per le singole azioni liturgiche, in segno di venerazione e di celebrazione gioiosa, siano collocati o sopra l'altare, oppure accanto ad esso, o anche sopra la croce dell'altare, tenuta presente la struttura sia dell'altare che del presbiterio, in modo da formare un tutto armonico; e non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull'altare.

    283. Inoltre vi sia sopra l'altare, o accanto ad esso, una croce, ben visibile allo sguardo dell'assemblea riunita.

    VI. La sede per il celebrante e i ministri, ossia, il luogo della presidenza

    284. La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l'assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell'edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e l'assemblea. Si eviti ogni forma di trono. Le sedi per i ministri, invece, siano collocate in presbiterio nel posto più adatto, perché essi possano compiere con facilità il proprio ufficio (12).

    VII. L'ambone, ossia il luogo dal quale viene annunciata la Parola di Dio

    285. L'importanza della parola di Dio esige che vi sia nella Chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la liturgia della parola, spontaneamente si rivolga l'attenzione dei fedeli (13). Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile. L'ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli. Dall'ambone si proclamano le letture, il salmo responsoriale e il preconio pasquale; ivi inoltre si può tenere l'omelia e la preghiera universale o preghiera dei fedeli. Non conviene però che all'ambone salga il commentatore, il cantore o l'animatore del coro.

    VIII. I posti dei fedeli

    286. Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché possano debitamente partecipare, con lo sguardo e con lo spirito, alle sacre celebrazioni. E' bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve però riprovare l'uso di riservare dei posti a persone private (14). Le sedie o i banchi si dispongano in modo che i fedeli possano assumere comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse parti della celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la santa comunione. Si abbia cura che i fedeli possano non soltanto vedere, ma anche, con i mezzi tecnici moderni, ascoltare comodamente sia il sacerdote sia gli altri ministri.

    IX. Il posto della «schola» e dell'organo o di altri strumenti musicali

    287. La schola cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè fa parte dell'assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; ne sia agevolato il compimento del suo ministero liturgico e sia facilitata a ciascuno dei suoi membri la partecipazione piena alla messa, cioè la partecipazione sacramentale (15).

    288. L'organo e gli altri strumenti musicali legittimamente ammessi siano collocati in luogo adatto, in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia al popolo che canta e, se vengono suonati da soli, possono essere facilmente ascoltati da tutti.

    X. Il posto per la custodia della santissima eucaristia

    289. Si raccomanda vivamente che il luogo in cui si conserva la santissima eucaristia sia situato in una cappella adatta alla preghiera privata e all'adorazione dei fedeli (16). Se poi questo non si può attuare, l'eucaristia sia collocata in un altare, o anche fuori dell'altare, in un luogo della Chiesa molto visibile e debitamente ornato, tenuta presente la struttura di ciascuna chiesa e le legittime consuetudini di ogni luogo (17).

    290. Si custodisca la santissima eucaristia in un unico tabernacolo, inamovibile e solido, non trasparente, e chiuso in modo da evitare il più possibile il pericolo di una profanazione. Pertanto in ogni Chiesa normalmente vi sia un solo tabernacolo (18).

    XI. Le immagini esposte alla venerazione dei fedeli

    291. Secondo un'antichissima tradizione della Chiesa, nei luoghi sacri legittimamente si espongano alla venerazione dei fedeli le immagini del Signore, della beata Vergine e dei santi. Si abbia cura tuttavia che il loro numero non sia eccessivo, e che la loro disposizione non distolga l'attenzione dei fedeli dalla celebrazione (19). Di un medesimo santo poi non si abbia che una sola immagine. In generale, nell'ornamento e nella disposizione della Chiesa, per quanto riguarda le immagini, si cerchi di favorire la pietà della comunità.

    XII. La disposizione generale del luogo santo

    292. L'arredamento della Chiesa abbia di mira una nobile semplicità, piuttosto che il fasto. Nella scelta degli elementi per l'arredamento, si curi la verità delle cose, e si tenda all'educazione dei fedeli e alla dignità di tutto il luogo sacro.

    293. Una conveniente disposizione della chiesa e dei suoi accessori, che rispondano opportunamente alle esigenze del nostro tempo, richiede che non si curino solo le cose più direttamente pertinenti alla celebrazione delle azioni sacre, ma che si preveda anche ciò che contribuisce alla comodità dei fedeli, e che abitualmente si trova nei luoghi di riunione.






    1.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 122-124; Decreto sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum ordinis, n. 5; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 90:: AAS 56 (1964) p. 897: Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) p. 554.
    2.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 123;
    3.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) p. 554.
    4.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 123, 129; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 13: AAS 56 (1964) p. 880.
    5.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 123.
    6.Cfr. Ibidem, n 126.
    7.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, nn. 97-98: AAS 56 (1964) p. 899.
    8.Cfr. Ibidem, n. 91: AAS 56 (1964) p. 898.
    9.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) p. 554.
    10.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, nn. 91: AAS 56 (1964) p. 898.
    11.Cfr. Ibidem, n. 93: AAS 56 (1964) p. 898.
    12.Cfr. Ibidem, n. 92: AAS 56 (1964) p. 898.
    13.Cfr. Ibidem, n. 96: AAS 56 (1964) p. 899.
    14.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 32; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 98: AAS 56 (1964) p. 899.
    15.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, n. 23: AAS 59 (1967) p. 307.
    16.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 53: AAS 59 (1967) p. 568; Cfr. Rituale Ambrosiano, Comunione e culto eucaristico fuori della messa, ed. tipica 1984, n. 9.
    17.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 54: AAS 59 (1967) p. 568; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, nn. 95: AAS 56 (1964) p. 898.
    18.Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 52: AAS 59 (1967) p. 568; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: AAS 56 (1964) p. 898; Sacra Congregazione dei Sacramenti, Istruzione Nullo umquam tempore, 28 maggio 1938, n. 4: AAS 30 (1938) pp. 199-200; Cfr. Rituale Ambrosiano, Comunione e culto eucaristico fuori della messa, ed. tipica 1984, nn. 10-11.
    19.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 125

    CAPITOLO VI
    COSE NECESSARIE PER LA CELEBRAZIONE DELLA MESSA
    I. Il pane e il vino per celebrare l'eucaristia

    294. Fedele all'esempio di Cristo, la Chiesa ha sempre usato pane e vino con acqua per celebrare la cena del Signore.

    295. Il pane per la celebrazione dell'eucaristia deve essere di puro frumento, di confezione recente, e, secondo l'antica tradizione della Chiesa latina, azzimo.

    296. La natura di segno esige che la materia della celebrazione eucaristica si presenti veramente come cibo. Conviene quindi che il pane eucaristico, sebbene azzimo e confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote nella messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l'ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni dei fedeli. Le ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando il numero dei comunicandi, o altre ragioni pastorali lo esigano. Il gesto della frazione del pane, con cui l'eucaristia veniva semplicemente designata nel tempo apostolico, manifesterà sempre più la forza e l'importanza del segno dell'unità di tutti in un unico pane e del segno della carità, per il fatto che unico pane è distribuito tra i fratelli.

    297. Il vino per la celebrazione eucaristica deve essere tratto dal "frutto della vite" (Lc 22,18), naturale e genuino, cioè non misto a sostanze estranee.

    298. Con la massima cura si conservino in perfetto stato il pane e il vino destinati all'eucaristia; cioè si badi che il vino non diventi aceto e che il pane non si guasti o sia troppo duro, così che solo con difficoltà si possa spezzare.

    299. Se dopo la consacrazione, o al momento della comunione, il sacerdote si accorge di aver usato acqua, anziché vino, metta l'acqua in un recipiente, versi nel calice vino con acqua e lo consacri, ripetendo la parte del racconto evangelico che riguarda la consacrazione del calice, senza dover nuovamente consacrare il pane.

    II. Le suppellettili sacre in genere

    300. Come per la costruzione di chiese, anche per ogni tipo di suppellettile sacra la Chiesa ammette il genere e lo stile artistico di ogni regione, e accetta quegli adattamenti che corrispondono alle culture e alle tradizioni dei singoli popoli, purché ogni cosa sia adatta all'uso per il quale è destinata (1). Anche in questo settore si curi quella nobile semplicità che si accompagna tanto bene con l'arte autentica.

    301. Nello scegliere la materia per la suppellettile sacra, oltre a quella tradizionalmente in uso, si possono adoperare anche quelle che, secondo la mentalità del nostro tempo, sono ritenute nobili, durevoli e che si adattano bene all'uso sacro. In questo settore, il giudizio spetta alla competente autorità.

    III. I vasi sacri

    302. Tra le cose richieste per la celebrazione della messa, sono degni di particolare rispetto i vasi sacri; tra questi, specialmente il calice e la patena, nei quali vengono offerti, consacrati e consumati il pane e il vino.

    303. I vasi sacri siano di materia solida e nobile. La cosa è rimessa al giudizio della competente autorità. Tuttavia si preferiscano materie che non si rompano né si deteriorino facilmente.

    304. I calici e gli altri vasi destinati a contenere il sangue del Signore, abbiano la coppa fatta di una materia che non assorba i liquidi. La base del calice può essere fatta con materie diverse, solide e decorose.

    305. I vasi sacri che servono a contenere le ostie, come la patena, la pisside, la teca, l'ostensorio e altri analoghi, si possono fabbricare anche con altre materie, tra quelle più apprezzate nelle varie regioni, come ad es. l'avorio o alcuni legni particolarmente duri, sempre che siano adatti all'uso sacro.

    306. Per la consacrazione delle ostie, si può convenientemente usare un'unica patena grande, sopra la quale si pone il pane sia per il celebrante, sia per i ministri e i fedeli.

    307. I vasi sacri di metallo siano abitualmente dorati all'interno, se il metallo è ossidabile; se invece sono di metallo inossidabile, e più nobile che l'oro, la doratura non è necessaria.

    308. Per quanto riguarda la forma dei vasi sacri, è compito dell'artista confezionarli nel modo più conveniente secondo gli usi della nostra regioni, purché siano adatti all'uso liturgico cui sono destinati.

    309. Per la benedizione dei vasi sacri, si osservino i riti prescritti nei libri liturgici.

    IV. Le vesti sacre

    310. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, non tutte le membra svolgono la stessa mansione. Questa diversità di ministeri nel compimento del culto sacro, si manifesta all'esterno con la diversità delle vesti sacre, che perciò devono essere segno dell'ufficio proprio di ogni ministro. Conviene però che tali vesti contribuiscano anche al decoro dell'azione sacra.

    311. La veste sacra comune a tutti i ministri di qualsiasi grado è il camice, stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Se il camice non copre pienamente, intorno al collo, l'abito comune, prima di indossarlo si deve mettere l'amitto. Il camice può essere sostituito dalla cotta; non però quando si indossano la casula o la dalmatica, né quando si usa la stola al posto della casula o della dalmatica.

    312. Veste propria del sacerdote celebrante, nella messa e nelle altre azioni sacre direttamente collegate con essa, è la casula o pianeta, se non viene indicato diversamente; la casula s'indossa sopra il camice e la stola.

    313. Veste propria del diacono è la dalmatica, da indossarsi sopra il camice. Il diacono porta la stola sopra la dalmatica.

    314. I ministri di grado inferiore al diacono possono indossare il camice o altra veste legittimamente approvata nella nostra regione.

    315. La stola indossata dal sacerdote gira attorno al collo e scende davanti, diritta. La stola indossata dal diacono poggia sulla spalla sinistra e scende verso il lato destro della persona.

    316. Il piviale viene indossato dal sacerdote nelle processioni e nelle altre azioni sacre, secondo le rubriche proprie dei singoli riti.

    317. La forma delle vesti sacre non può essere mutata senza il consenso della Sede Apostolica (2)

    318. Per la confezione delle vesti sacre, oltre alle stoffe tradizionali, si possono usare altre fibre naturali proprie delle singole regioni, come pure fibre artificiali, rispondenti alla dignità dell'azione sacra e della persona. In questa materia è giudice la competente autorità.

    319. La bellezza e la nobiltà delle vesti si devono cercare e porre in risalto più nella forma e nella materia usata, che nella ricchezza dell'ornato. Gli ornamenti possono presentare figurazioni, o immagini, o simboli, che indichino l'uso sacro delle vesti, con esclusione di ciò che non vi si addice.

    320. La differenza dei colori nelle vesti sacre ha lo scopo di esprimere, anche con mezzi esterni, la caratteristica particolare dei misteri della fede che vengono celebrati, e il senso della vita cristiana in cammino lungo il corso dell'anno liturgico.

    321. Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l'uso tradizionale; pertanto:
    a) Il colore bianco si usa negli uffici e nelle messe del tempo pasquale e del tempo natalizio; nella messa crismale del giovedì santo; nella solennità della SS. Trinità; nella solennità della divina maternità della Vergine Maria (VI di avvento); inoltre nelle solennità, feste, memorie del Signore, escluse quelle della passione, della santa croce, del mistero eucaristico e del sacratissimo Cuore; nelle solennità, feste e memorie della beata Vergine, degli angeli, dei santi non martiri, nelle solennità di tutti i santi (1 novembre) e di san Giovanni Battista (24 giugno), nelle feste di san Giovanni evangelista (27 dicembre), della cattedra di s. Pietro (22 febbraio) e della conversione di s. Paolo (25 gennaio).
    b) Il colore rosso si usa il 1° gennaio, ottava del Natale nella circoncisione del Signore; dal sabato in traditione Symboli incluso fino alla veglia della Pasqua esclusa; nella domenica di Pentecoste; negli uffici e messe del tempo ordinario dopo la solennità della Pentecoste fino alla domenica della Dedicazione della cattedrale esclusa; negli uffici e messe dello Spirito santo e del mistero eucaristico; nelle celebrazioni della passione del Signore, della santa croce e del sacratissimo cuore di Gesù; nella festa natalizia degli apostoli e degli evangelisti e nelle celebrazioni dei santi martiri.
    c) Il colore verde si usa negli uffici e nelle messe del tempo ordinario dopo la festa del Battesimo di Gesù fino alla quaresima e dopo la domenica della Dedicazione della cattedrale fino all'avvento.
    d) Il colore morello si usa nel tempo di avvento, esclusa la solennità della divina maternità della vergine Maria, e in quaresima fino al sabato in traditione symboli escluso e nelle messe votive per il perdono dei peccati. Si può usare negli uffici e nelle messe per i defunti.
    e) Il colore nero si può usare negli uffici e nelle messe per i defunti.

    322. Nei giorni più solenni si possono usare vesti sacre più preziose, anche se non sono del colore del giorno.

    323. Le messe rituali si dicono col colore ad esse proprio, oppure con colore bianco o festivo. Le messe per varie necessità col colore proprio del giorno o del tempo, oppure con colore morello se hanno carattere penitenziale. Le messe votive si dicono con il colore adatto alla messa che si celebra o anche con il colore proprio del giorno o del tempo.

    V. Altra suppellettile destinata all'uso della chiesa

    324. Oltre ai vasi sacri e alle vesti liturgiche, per cui viene prescritta una determinata materia, anche l'altra suppellettile, destinata direttamente all'uso liturgico, o in qualunque altro modo ammessa nella Chiesa, deve essere degna e rispondere al fine a cui ogni cosa è destinata.

    325. Si curi in modo particolare che anche nelle cose di minore importanza le esigenze dell'arte siano opportunamente rispettate, e che una nobile semplicità sia sempre congiunta con la debita pulizia.






    1.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 128; Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) p. 554.
    2.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 128.
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    Messaggio Da enricorns2 Gio Set 08, 2016 11:58 pm

    CAPITOLO VII
    LA SCELTA DELLE PARTI DELLA MESSA
    326. L'efficacia pastorale della celebrazione aumenta se il testo delle letture, delle orazioni e dei canti corrispondono il meglio possibile alle necessità, alla preparazione spirituale e alle capacità dei partecipanti. Questo si ottiene usando convenientemente di una molteplice facoltà di scelta che sarà descritta più avanti. Nel preparare la messa il sacerdote tenga presente più il bene spirituale comune dell'assemblea che il proprio gusto. Si ricordi anche che la scelta di queste parti si deve fare insieme con i ministri e con le altre persone che svolgono qualche ufficio nella celebrazione, senza escludere i fedeli in ciò che li riguarda direttamente. Dal momento che è offerta un'ampia possibilità di scegliere le diverse parti della messa, è necessario che prima della celebrazione il diacono, il lettore, il salmista, il cantore, il commentatore, la schola, ognuno per la sua parte, sappiano bene quali testi aspettano a ciascuno, in modo che nulla si lasci all'improvvisazione. L'armonica disposizione ed esecuzione dei riti contribuisce moltissimo a disporre lo spirito dei fedeli per la partecipazione all'eucaristia.

    I. La scelta della messa

    327. Nelle solennità il sacerdote è tenuto a seguire il calendario della Chiesa in cui celebra.

    328. Nelle domeniche, nelle ferie di avvento, di natale, di quaresima e di pasqua, nelle feste e nelle "memorie" obbligatorie:
    a) se la messa si celebra con il popolo, il sacerdote segua il calendario della Chiesa in cui si celebra;
    b) se la messa si celebra senza il popolo, il sacerdote può scegliere tra il calendario del luogo e il calendario proprio.

    329. Nelle memorie facoltative:
    a) Nelle ferie prenatalizie dal 17 al 24 dicembre, nei giorni tra l'ottava di natale, nelle ferie di quaresima e nelle ferie della settimana santa il sacerdote non dice se non la messa del giorno liturgico corrente, escludendo qualsiasi memoria.
    b) Nelle ferie di avvento prima del 17 dicembre, nelle ferie del tempo natalizio e in quelle del tempo pasquale, il sacerdote può scegliere o la messa della feria, o la messa del santo o di uno dei santi di cui si fa la memoria, o la messa di un santo ricordato in quel giorno nel martirologio.
    c) Nelle ferie del tempo ordinario, il sacerdote può scegliere o la messa della feria o la messa di un'eventuale "memoria facoltativa", o la messa di qualche santo ricordato in quel giorno nel martirologio, o una messa "per diverse circostanze" o una messa votiva. Se celebra con partecipazione di popolo, il sacerdote si preoccupi anzitutto del bene spirituale dei fedeli, evitando di imporre i propri gusti. Soprattutto cerchi di non omettere troppo spesso e senza motivo sufficiente le letture assegnate per i singoli giorni dal lezionario feriale: la Chiesa desidera infatti che venga offerta ai fedeli una mensa sempre più abbondante della parola di Dio (1). Per lo stesso motivo, non ricorra troppo spesso alle messe dei defunti: tutte le messe sono offerte per i vivi e per i defunti. Là dove le "memorie" facoltative della beata Vergine, o di un santo, sono care alla pietà dei fedeli, sia celebrata almeno una messa in loro onore per soddisfare alla legittima devozione dei fedeli. Quando poi c'è possibilità di scelta tra una "memoria" iscritta nel calendario comune ambrosiano e una "memoria" del calendario diocesano o religioso, si dia la precedenza, a parità di importanza e secondo la tradizione, alla "memoria" del calendario particolare.

    II. La scelta delle parti della messa

    330. Nello scegliere i testi delle diverse parti della messa, sia del tempo che dei santi, si osservino le norme seguenti:

    Le letture

    331. Alla domenica, nelle solennità e nelle feste, e anche nelle ferie di quaresima vi sono tre letture: il profeta, l'apostolo e il vangelo; la loro proclamazione educa il popolo cristiano al senso della continuità nell'opera di salvezza, secondo la mirabile pedagogia divina. Si raccomanda quindi molto che le letture siano tre. Tuttavia, per ragioni di ordine pastorale e nei casi più urgenti può essere consentito l'uso di due sole letture. Quando poi c'è da scegliere tra le due prime letture, si tengano presenti le norme proposte dal lezionario e l'intento di condurre i fedeli a una più profonda conoscenza delle Scritture; il criterio di scelta non sia mai solo quello del testo più breve o più facile.

    332. Nel lezionario feriale sono proposte delle letture per ogni giorno della settimana, lungo tutto il corso dell'anno: pertanto proprio queste letture si dovranno abitualmente usare nei giorni a cui sono assegnate, a meno che non ricorra una solennità o una festa. Quando la lettura continua venisse interrotta durante la settimana da una festa o da qualche celebrazione speciale, il sacerdote, tenendo presente l'ordine delle letture di tutta la settimana, può aggiungere alle altre letture quella omessa o decidere quale testo preferire. Nelle messe per gruppi particolari, il sacerdote potrà scegliere le letture più adatte a quella particolare celebrazione, purché tratte dai testi del lezionario approvato.

    333. Una scelta speciale di testi della sacra Scrittura è fatta per le messe nelle quali è inserita la celebrazione di sacramenti o di sacramentali, o che vengono celebrate in speciali circostanze. Questi lezionari sono stati composti in modo che i fedeli, attraverso l'ascolto di una lettura più adatta, comprendano meglio il mistero a cui prendono parte e aumentino il loro amore per la parola di Dio. Quindi i testi da leggersi nell'assemblea liturgica si devono scegliere in base a un'opportuna considerazione pastorale, e tenuta presente la libertà di scelta prevista per questi casi.

    Le orazioni

    334. Il grande numero di prefazi di cui è singolarmente ricco il messale ambrosiano, secondo la sua peculiare tradizione, mira a presentare sotto angolature diverse il tema dell'azione di grazie proprio della preghiera eucaristica e, a seconda della celebrazione, a porre maggiormente in luce i vari aspetti del mistero della salvezza.

    335. La scelta tra le preghiere eucaristiche è regolata dalle norme seguenti:
    a) La preghiera eucaristica prima si può sempre usare; il suo uso tuttavia è più indicato nei giorni ai quali è assegnato un Communicantes proprio, o nelle messe con l'Hanc igitur proprio, oltre che nelle feste degli apostoli e dei santi di cui si fa menzione nella preghiera stessa; così pure nelle domeniche, a meno che, per ragioni pastorali, non si preferisca un'altra preghiera eucaristica.
    b) La preghiera eucaristica seconda, per le sue particolari caratteristiche, è più indicata per i giorni feriali o in circostanze particolari. Il prefazio proprio di questa prece può essere utilizzato solo quando nella messa si dovrebbe usare il prefazio della domenica precedente, e cioè nelle messe feriali del tempo ordinario, o nelle messe per le diverse necessità prive di un prefazio proprio. Quando si celebra la messa per un defunto, si può inserire la formula particolare proposta a suo luogo, cioè prima del Memento etiam (Ricordati dei nostri fratelli).
    c) La preghiera eucaristica terza si può dire con qualsiasi prefazio. E' preferibile usarla nelle domeniche e nei giorni festivi. In questa preghiera si può usare la formula particolare per un defunto, inserendola a suo luogo, cioè dopo le parole Omnes filios tuos ubique dispersos (Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi).
    d) La preghiera eucaristica quarta, che presenta la storia della salvezza, ha un prefazio proprio che non si può mai sostituire con un altro. Si può usare nelle domeniche del tempo ordinario, nelle messe rituali, per diverse necessità, votive, e nelle messe dei santi che non hanno un prefazio proprio. A motivo della sua struttura, non si può inserire in questa preghiera una formula particolare per un defunto.
    e) La preghiera eucaristica quinta si deve usare nella messa vespertina del giovedì santo; si può anche usare nelle messe che hanno come tema il mistero dell'eucaristia e della passione, nelle ordinazioni o negli anniversari sacerdotali e nelle riunioni sacerdotali. In questa preghiera eucaristica non si può inserire la formula per il defunto.
    f) La preghiera eucaristica sesta si deve usare nella veglia pasquale; si può anche usare nelle messe "per i battezzati", nelle domeniche e nelle ferie del tempo pasquale e nelle messe rituali dell'iniziazione cristiana. In questa preghiera eucaristica non si può inserire la formula per il defunto.

    336. In ogni messa, salvo indicazioni al contrario, si dicono le orazioni e il prefazio propri di quella messa. Tuttavia nelle messe delle "memorie" si dice l'orazione all'inizio dell'assemblea liturgica propria o quella del comune; le orazioni a conclusione della liturgia della parola, sui doni e dopo la comunione, nonché il prefazio, se non sono propri, si possono scegliere dal comune o dalle ferie del tempo corrente. Nelle ferie del tempo ordinario, oltre al formulario della domenica precedente, si può usare il formulario di un'altra domenica del tempo ordinario, tranne quelli delle prime tre settimane del tempo ordinario che, per gli espliciti riferimenti alle trascorse feste natalizie, sono da riservarsi al periodo immediatamente successivo alle feste natalizie stesse. Nelle ferie del tempo ordinario si possono usare anche i formulari "per le diverse necessità" che si trovano nel messale. Di queste messe si può comunque scegliere anche la sola orazione all'inizio dell'assemblea liturgica. In tal modo viene proposto un maggior numero di testi, che non solo permettono di rinnovare di continuo i temi della preghiera dell'assemblea liturgica, ma anche di adattare la stessa preghiera alle necessità dei fedeli, della Chiesa e del mondo. Nei tempi più importanti dell'anno, questo adattamento già avviene mediante i formulari propri del tempo, che si trovano per ogni giorno nel messale.

    I canti

    337. Nello scegliere i canti fra le letture, e i canti all'ingresso, dopo il vangelo, di offertorio, allo spezzare del pane e alla comunione, si osservino le norme stabilite nel capitolo che ne tratta.

    Facoltà particolari

    338. Gli adattamenti per le letture indicati dalla Conferenza Episcopale Italiana possono essere usati anche dai sacerdoti di rito ambrosiano, a condizione che si rispetti la legge delle tre letture nelle domeniche, nelle solennità e nelle feste (cfr. n. 331).






    1.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 51.

    CAPITOLO VIII
    MESSE E ORAZIONI PER DIVERSE CIRCOSTANZE E MESSE DEI DEFUNTI
    I. Messe e orazioni per diverse circostanze

    339. Poiché la liturgia dei sacramenti e dei sacramentali offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia che fluisce dal mistero pasquale (1), e poiché l'eucaristia è il sacramento per eccellenza, il messale presenta formulari di messe e di orazioni che si possono usare nelle diverse circostanze della vita cristiana, per le necessità di tutto il mondo o della Chiesa universale e locale.

    340. Essendovi una maggiore facoltà di scegliere le letture e le orazioni, è bene che delle messe "per diverse circostanze" si faccia un uso moderato, cioè quando lo esige l'opportunità pastorale.

    341. In tutte le messe "per diverse circostanze", salvo espresse indicazioni in contrario, si possono usare le letture feriali con i loro canti responsoriali, se si accordano con la celebrazione.

    342. Le messe "per diverse circostanze" sono di tre tipi: a) Messe rituali, collegate con la celebrazione di alcuni sacramenti o sacramentali; b) Messe per varie necessità, che vengono dette in alcune occasioni, sia saltuariamente, sia in tempi determinati; c) Messe votive o di devozione, che vengono scelte liberamente secondo la devozione dei fedeli per commemorare i misteri del Signore, o per onorare la beata vergine Maria e i santi.

    343. Le messe rituali sono proibite nelle domeniche di avvento, quaresima e pasqua, nelle solennità, e nella settimana santa; si devono inoltre osservare le norme indicate nei libri rituali o nei formulari delle messe stesse.

    344. Tra le messe "per varie necessità", la competente autorità può scegliere messe per eventuali suppliche pubbliche, stabilite dalla competente autorità nel corso dell'anno.

    345. Nel caso di una necessità particolarmente grave o di una utilità pastorale, si può celebrare una messa adatta, per ordine o con il consenso dell'Ordinario del luogo, in qualsiasi giorno, eccetto le solennità e le domeniche di avvento, quaresima e pasqua, le ferie "prenatalizie", di quaresima e della settimana santa.

    346. Nei giorni in cui occorre una "memoria" obbligatoria o una feria di avvento, del tempo natalizio e del tempo pasquale, giorni nei quali sono proibite le messe votive, se lo richiede un'autentica necessità o un'utilità pastorale, nella messa con partecipazione di popolo si può usare il formulario corrispondente a questa necessità o utilità, a giudizio del rettore della chiesa o dello stesso celebrante.

    347. Nelle ferie del tempo ordinario nelle quali occorrono memorie facoltative o si fa l'ufficio della feria, si può celebrare qualunque messa o utilizzare qualunque orazione "per diverse circostanze", fatta eccezione per le messe rituali.

    II. Messe dei defunti

    348. La Chiesa offre il sacrificio eucaristico della pasqua di Cristo per i defunti, in modo che, per la comunione esistente fra tutte le membra di Cristo, gli uni ricevano un aiuto spirituale, e gli altri il conforto della speranza.

    349. Tra le messe per i defunti, ha il primo posto la messa esequiale, che si può celebrare tutti i giorni, eccetto le solennità di precetto, il giovedì santo, il triduo pasquale e le domeniche di avvento, quaresima e pasqua.

    350. La messa dei defunti alla notizia della morte di una persona, o nel giorno della sepoltura definitiva, o nel primo anniversario, si può celebrare anche nei giorni nei quali occorre una memoria obbligatoria o una feria, che non sia feria prenatalizia o della settimana santa. Le altre messe per i defunti, o messe "quotidiane", si possono celebrare nei giorni in cui sono permesse le messe votive, purché siano veramente applicate per i defunti.

    351. Nella messa esequiale si tenga normalmente una breve omelia, escludendo però la forma dell'elogio funebre. Si raccomanda l'omelia anche nelle altre messe per i defunti con partecipazione di popolo.

    352. Si invitino i fedeli, specialmente i familiari del defunto, a partecipare con la santa comunione al sacrificio eucaristico offerto per il defunto stesso.

    353. Nell'ordinare e scegliere le parti variabili della messa per i defunti (come le orazioni, le letture, la preghiera dei fedeli), specialmente nella messa esequiale, si tengano presenti, come è giusto, gli aspetti pastorali che interessano il defunto, la sua famiglia e i presenti. Inoltre i pastori d'anime abbiano un riguardo speciale per coloro che in occasione del funerale sono presenti alla celebrazione liturgica o ascoltano la lettura del vangelo, siano essi acattolici o cattolici che non partecipano mai o quasi mai all'eucaristia, o che sembrano aver perduto la fede; i sacerdoti sono per tutti i ministri del vangelo di Cristo.

    354. Nelle messe esequiali dei defunti, dopo la notizia della morte, nel giorno della sepoltura definitiva e nel primo anniversario, le letture si prendano dal lezionario dei defunti; nelle altre messe per i defunti è permesso l'uso del lezionario feriale.






    1.Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 61.

    CAPITOLO IX
    RITI PROPRI DELLA CHIESA METROPOLITANA
    NELLE CELEBRAZIONI SOLENNI PRESIEDUTE DALL'ARCIVESCOVO
    355. Secondo un'antica tradizione, la Chiesa Cattedrale Metropolitana di Milano ha conservato alcuni riti particolari, quando la messa è celebrata solennemente dall'arcivescovo. Questi riti possono essere usati anche quando l'arcivescovo celebra in particolari occasioni fuori dalla Chiesa Cattedrale. Essi competono anche a qualsiasi Ordinario di luogo che celebri solennemente in rito ambrosiano entro la propria diocesi o territorio ove legittimamente sia in vigore il rito ambrosiano stesso.

    356. L'arcivescovo durante la messa pontificale o "stazionale" è assistito da sei diaconi, due alla cattedra e quattro per il servizio dell'altare e del vangelo, e da un prete assistente, se non c'è concelebrazione.

    357. I riti introduttori prevedono il seguente svolgimento:
    a) solenne ingresso con il canto dei dodici kyrie in gremio Ecclesiae, cui segue la sallenda propria della solennità celebrata;
    b) prima che l'arcivescovo e i ministri bacino la mensa, due diaconi incensano l'altare, come primo atto di omaggio (1);
    c) l'arcivescovo, dalla cattedra, dopo il segno di croce ed il saluto all'assemblea, intona subito, se previsto, il Gloria.

    358. Normalmente, la prima lettura compete a un lettore istituito rivestito di piviale, la seconda lettura ad uno dei diaconi, il vangelo al primo dei diaconi. La processione per la proclamazione del vangelo prevede quattro diaconi, dei quali uno reca, ostendendolo, l'evangeliario, due reggono i cantari accesi (2) ed il quarto tiene il turibolo fumigante. Il rito, cui prestano il proprio ministero esclusivamente i diaconi, vuole mettere in evidenza il momento solenne della proclamazione evangelica. Prima dell'omelia l'arcivescovo riceve l'incensazione seduto in cattedra con mitra e pastorale, analogamente all'atto con cui viene incensato l'evangeliario prima della proclamazione del vangelo, come a voler sottolineare che la parola del vescovo nell'omelia non solo commenta ma in un certo modo continua e attualizza la Parola di Dio ascoltata nelle letture sacre.

    359. Alla presentazione del pane e del calice, dopo la consacrazione, due dei diaconi ministranti incensano l'eucaristia.

    360. Nella celebrazione vespertina del venerdì santo è lo stesso arcivescovo che dalla cattedra, assistito da sei diaconi, rivestito dei paramenti della messa e con la mitra in capo, proclama la lettura della passione, compiendo in tal modo la solenne commemorazione della morte del Signore (3), così come sarà l'arcivescovo a proclamare nella veglia pasquale l'annuncio della risurrezione.

    361. Nella veglia pasquale, il canto del preconio conserva l'antica caratteristica di grande rito lucernale, durante il quale, gradatamente e in diversi momenti, legati al testo del preconio stesso, si compie l'illuminazione del tempio, quasi a rendere visibile l'immagine della luce pasquale che, dal cero, pervade progressivamente la chiesa in attesa del Signore risorto.






    1.Cfr. BEROLDUS, ed. M. Magistretti, p. 49.
    2.Cfr. BEROLDUS, ed. M. Magistretti, p. 116.
    3.Cfr. BEROLDUS, ed. M. Magistretti, p. 40.

    NORME UNIVERSALI PER L'ORDINAMENTO
    DELL'ANNO LITURGICO E DEL CALENDARIO AMBROSIANO


    CAPITOLO I
    L'ANNO LITURGICO

    1. La santa Chiesa celebra, con sacro ricordo, in giorni determinati, nel corso dell'anno, l'opera di salvezza di Cristo. Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa la memoria della risurrezione del Signore, che ogni anno, insieme alla sua beata passione, celebra a pasqua, la più grande delle solennità. Nel corso dell'anno, poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo e commemora il giorno natalizio dei santi. La Chiesa, infine, nei vari tempi dell'anno, secondo una tradizionale disciplina, completa la formazione dei fedeli per mezzo di pie pratiche spirituali e corporali, per mezzo dell'istruzione, della preghiera, delle opere di penitenza e di misericordia (1).


    TITOLO I
    GIORNI LITURGICI

    I.Il giorno liturgico

    2. Ogni giorno viene santificato dal popolo di Dio con celebrazioni liturgiche, specialmente con il sacrificio eucaristico e l'ufficio divino. Il giorno liturgico decorre da una mezzanotte all'altra. La celebrazione della domenica, delle solennità, delle feste e delle memorie secondo l'antica e costante tradizione ambrosiana, comincia dai vespri del giorno precedente (2) e comprende anche i secondi vespri del giorno, se si tratta di una domenica o di una solennità o di una festa, salvo quanto è disposto nei nn. 10, 31, 34 circa le messe vigiliari, soprattutto le più solenni; quando invece si tratta di una memoria il giorno liturgico si conclude con l'ora di nona.

    II.La domenica

    3. La Chiesa, seguendo la tradizione apostolica che trae origine dal giorno stesso della risurrezione del Signore, celebra, nel primo giorno della settimana, che viene chiamato giorno del Signore o domenica, il mistero pasquale. Pertanto la domenica si deve considerare come la festa primordiale (3).

    4. Per la sua particolare importanza la domenica cede la sua celebrazione soltanto alle solennità e alle feste del Signore. Le solennità dei santi, che cadono in domenica, si anticipano di norma al sabato. La domenica tuttavia cede la sua celebrazione alle feste dei santi Stefano, Giovanni e Innocenti la cui liturgia presenta ancora aspetti del mistero natalizio. Le domeniche di avvento, di quaresima e di pasqua hanno sempre la precedenza anche sulle feste del Signore e su tutte le solennità. Le solennità che coincidono con queste domeniche, si anticipano al sabato, purché non sia il sabato in traditione Symboli. Le feste e le memorie sia del Signore che dei santi che cadono in queste domeniche in quell'anno non vengono celebrate. Tuttavia per l'Ascensione cfr. n. 6; per le feste tra l'ottava di Natale cfr. n. 33.

    5. La domenica, per sé, esclude l'assegnazione perpetua di qualsiasi altra celebrazione. Tuttavia:

    a) Nella domenica dopo il 6 gennaio, si celebra il Battesimo del Signore;

    b) Nella IV domenica di gennaio si celebra la festa della santa Famiglia;

    c) Nella domenica dopo Pentecoste si celebra la festa della ss.ma Trinità;

    d) Nella III domenica di ottobre si celebra l'anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale;

    e) Nell'ultima domenica per annum si celebra la solennità di Cristo re dell'universo.

    6. Nei luoghi dove le solennità dell'Epifania, dell'Ascensione e del Corpus Domini non sono di precetto, saranno trasportate alla domenica come a giorno proprio, in questo modo:

    a)l'Epifania, alla domenica che ricorre tra il 2 e l'8 gennaio;

    b)L'Ascensione, alla domenica VII di Pasqua;

    c)La solennità del Corpus Domini, alla domenica dopo la ss.ma Trinità.

    III.Le solennità, le feste e le memorie

    7. La Chiesa nel corso dell'anno, celebrando il mistero di Cristo, venera anche con amore particolare la beata Maria, madre di Dio, e propone alla pietà dei fedeli la memoria dei martiri e degli altri santi (4).

    8. I santi, che hanno un rilievo universale, si celebrano, come in tutta la Chiesa, anche nelle chiese di rito ambrosiano; i santi che hanno una particolare importanza per i fedeli di rito ambrosiano si celebrano in tutte le chiese di rito romano della diocesi di Milano; gli altri, o sono elencati nel calendario per essere celebrati ad libitum, o sono lasciati alla venerazione di ciascuna chiesa particolare, o nazione, o famiglia religiosa.

    9. Le celebrazioni, secondo l'importanza che viene loro attribuita, sono denominate e si distinguono fra di loro così: solennità, feste, memorie.

    10. Le celebrazione delle solennità e delle feste comincia con i primi vespri il giorno precedente e si conclude nel giorno coi secondo vespri; la celebrazione delle memorie comincia coi primi vespri il il giorno precedente e termina con l'ora nona del giorno. Alcune solennità e alcune feste hanno anche la messa propria della vigilia, da usarsi alla sera del giorno precedente, qualora si celebrasse la messa nelle ore serali.

    11. La celebrazione della Pasqua e del Natale, che sono le massime solennità, si protrae per otto giorni. Le due ottave sono ordinate da leggi proprie.

    12. Le memorie sono obbligatorie o ad libitum; la loro celebrazione si compone con la celebrazione della feria secondo le norme esposte nelle Istruzioni generali relative alla messa e all'ufficio divino. Se il calendario riporta nello stesso giorno più memorie ad libitum, se ne può celebrare una sola, omettendo le altre. Nel decidere se convenga celebrare tale memoria, si badi al bene comune e alla giusta devozione dei partecipanti, non del solo presidente.

    13. Nei sabati del tempo ordinario si può fare la memoria ad libitum della beata Maria vergine, purché non coincida con una memoria obbligatoria.

    IV.Le ferie

    14. I giorni della settimana che seguono la domenica, si chiamano ferie. La loro celebrazione differisce a seconda dell'importanza propria di ciascuna.

    a)Le ferie pre natalizie de exceptato, il sabato in traditione Symboli e le ferie della settimana santa, fino all'ora nona del giovedì compresa, hanno la precedenza su tutte le altre celebrazioni.

    b)Le ferie della quaresima cedono soltanto alle solennità di San Giuseppe e dell'Annunciazione del Signore.

    c)Le rimanenti ferie cedono alle solennità e alle feste e si compongono con le memorie.


    TITOLO II
    IL CICLO DELL'ANNO LITURGICO

    15. La Chiesa celebra tutto il mistero di Cristo durante il corso dell'anno, dall'incarnazione alla pentecoste e all'attesa del ritorno del Signore (5).

    I.Il triduo pasquale

    16. Il triduo della Passione e della Risurrezione del Signore risplende al vertice dell'anno liturgico (6), poiché l'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero pasquale, col quale, morendo, ha distrutto la nostra morte, e risorgendo, ci ha ridonato la vita. La preminenza di cui gode la domenica della settimana, la gode la pasqua nell'anno liturgico (7).

    17. Il triduo pasquale della Passione e della Risurrezione del Signore ha inizio dalla messa in Cena Domini, ha il suo fulcro nella Veglia pasquale, e termina con i vespri della domenica di Risurrezione.

    18. Il venerdì della Passione del Signore (Cool e, secondo l'opportunità, anche il sabato santo fino alla Veglia pasquale (9), si celebra il digiuno pasquale. Nel pomeriggio del venerdì santo si celebra la Passione del Signore.

    19. La Veglia pasquale, durante la notte in cui Cristo è risorto, è considerata come la «madre di tutte le veglie» (10). In essa la Chiesa attende, vegliando, la risurrezione di Cristo e la celebra nei sacramenti. Quindi tutta la celebrazione di questa sacra Veglia si deve svolgere di notte, cosicché o cominci dopo l'inizio della notte o termini prima dell'alba della domenica.

    II.Il tempo di pasqua

    20. I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di Risurrezione alla domenica di Pentecoste si celebrano nell'esultanza e nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come «la grande domenica» (11). Sono i giorni nei quali, in modo del tutto speciale, si canta l'alleluia.

    21. Le domeniche di questo tempo vengono considerate come domeniche di Pasqua e, dopo la domenica di Risurrezione, si chiamano domeniche II, III, IV, V, VI, VII di Pasqua. Questo sacro tempo dei cinquanta giorni si conclude con la domenica di Pentecoste.

    22. I primi otto giorni del tempo pasquale costituiscono l'ottava di Pasqua e si celebrano come solennità del Signore. Nelle chiese dove si celebrano più messe, è bene usare, almeno una volta al giorno il formulario «per i battezzati» ovvero in memoria del battesimo.

    23. L'Ascensione del Signore si celebra il quarantesimo giorno dopo la Pasqua, eccetto nei luoghi in cui non è di precetto, dove viene trasferita alla VII domenica di Pasqua (cfr. n. 6).

    24. I giorni dopo l'Ascensione, fino al sabato prima di Pentecoste, preparano la venuta dello Spirito santo.

    III.Il tempo di quaresima

    25. Il tempo di quaresima ha lo scopo di preparare la Pasqua: la liturgia quaresimale guida alla celebrazione del mistero pasquale sia i catecumeni, attraverso i diversi gradi dell'iniziazione cristiana, sia i fedeli, per mezzo del ricordo del battesimo e della penitenza (12).

    26. Il tempo di quaresima decorre dai primi vespri della I domenica di quaresima (o sesta domenica prima di Pasqua) fino alla messa inter vesperas in Cena Domini, con la quale comincia il sacro triduo pasquale. Dall'inizio della quaresima sino alla Veglia pasquale non si canta l'alleluia. Nei venerdì di quaresima, secondo l'antica e costante tradizione ambrosiana, non si celebra la liturgia eucaristica a meno che ricorra la solennità di san Giuseppe o dell'Annunciazione del Signore.

    27. Il mercoledì, da cui ha inizio la quaresima, e che ovunque è giorno di digiuno, si impongono le ceneri *.


    * Cfr. Sinodo diocesano XLVII, cost. 71, § 7.
    [7. Nel cammino di conversione e penitenza acquistano rilevanza i giorni di astinenza e digiuno, che preparano alle feste liturgiche o che, in particolari circostanze civili ed ecclesiali, richiamano più insistentemente il dovere del ricorso implorante a Dio e della carità fraterna. Essi sono soprattutto, nel corso dell'anno liturgico, i giorni feriali di quaresima e, in ogni settimana, il venerdì, giorno di ricordo della morte del Signore e di preparazione alla Comunione eucaristica nell'assemblea domenicale (cf CEI, Il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza, n. 9). I pastori ricordino ai fedeli l'obbligo e il significato dell'osservanza del digiuno e dell'astinenza nei giorni prescritti e secondo i modi previsti dalla Chiesa. Propongano inoltre forme volontarie di penitenza, che, unitamente alla preghiera e alle opere di carità, si inseriscano in modo abituale e armonico nella vita personale e comunitaria (cf CEI, Il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza, nn. 13-16; in particolare, si veda il n. 13)].

    28. Le domeniche di questo tempo vengono chiamate rispettivamente I domenica di quaresima, della Samaritana, di Abramo, del Cieco, di Lazzaro. La sesta domenica, dopo il sabato in traditione Symboli, la quale apre la settimana santa ovvero authentica, è detta domenica delle palme o degli ulivi.

    29. La settimana santa ha per scopo la venerazione della passione di Cristo, dalla unzione nella cena di Betania e dal suo ingresso messianico in Gerusalemme. Il giovedì della settimana santa, al mattino, il vescovo, concelebrando la messa col suo presbiterio, benedice gli oli santi e consacra il crisma.

    IV.Il tempo di natale

    30. Dopo l'annuale rievocazione del mistero pasquale, la Chiesa non ha nulla di più sacro della celebrazione del Natale del Signore e delle sue prime manifestazioni: ciò che essa compie con il tempo di natale.

    31. Il tempo di natale inizia con i primi vespri del Natale del Signore e termina la domenica dopo l'Epifania, cioè la domenica che ricorre dopo il 6 gennaio.

    32. La messa della vigilia di Natale è celebrata inter vesperas nelle chiese collegiate e lodevolmente anche nelle altre chiese. Se la solennità del Natale ricorre in lunedì, al mattino della domenica si celebra la messa della divina maternità della vergine Maria; le messe vespertine, invece, sono della vigilia. Nel giorno di Natale si possono celebrare tre messe: nella notte, all'alba, nella giornata.

    33. L'ottava del Natale è così ordinata:

    a)Il 26 dicembre, è la festa di santo Stefano protomartire;

    b)Il 27 dicembre, si celebra la festa di san Giovanni apostolo ed evangelista;

    c)Il 28 dicembre, si celebra la festa dei santi Innocenti. Queste feste di cui alle lettere a), b), c), avendo un'officiatura mista, prevalgono sulla stessa domenica;

    d)I giorni 29, 30, 31 sono giorni fra l'ottava del Natale;

    e)Il giorno 1 gennaio si celebra l'Ottava del Natale nella circoncisione del Signore.

    34. La domenica tra il 2 e il 5 gennaio è la domenica II dopo l'ottava di Natale o dopo il Natale.

    35. L'epifania del Signore si celebra il 6 gennaio; nei luoghi in cui non è di precetto viene assegnata alla domenica che cade fra il 2 e 1'8 gennaio (cfr. n. 6a). La messa della vigilia di questa solennità segue le stesse norme della vigilia di Natale (cfr. n. 32); pertanto, se l'Epifania cade in lunedì, nella mattina della domenica si celebra la messa della domenica dopo l'ottava di Natale, le messe vespertine sono della vigilia.

    36. Nella domenica dopo il 6 gennaio si celebra la festa del Battesimo del Signore.

    37. La IV domenica di gennaio si celebra la festa della santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.

    V.Il tempo di avvento

    38. Il tempo di avvento ha una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. Per ambedue questi motivi, il tempo di avvento si presenta come tempo di gioiosa e devota attesa.

    39. Il tempo di avvento comincia dai primi vespri della domenica che segue immediatamente il 12 novembre e termina prima dei vespri di Natale.

    40. Le domeniche di questo tempo si chiamano: I, II, III, IV, V domenica di avvento. Nella VI domenica si celebra la solennità della divina maternità della vergine Maria.

    41. Le ferie dal 17 al 24 dicembre si dicono «pre natalizie» o de exceptato e sono ordinate ad una più diretta preparazione al Natale del Signore.

    VI.Il tempo ordinario

    42. Oltre i tempi che hanno proprie caratteristiche, ci sono trentuno o trentadue settimane durante il corso dell'anno, le quali sono destinate non a celebrare un particolare aspetto del mistero di Cristo, ma nelle quali tale mistero viene piuttosto venerato nella sua globalità, specialmente nelle domeniche. Questo periodo si chiama tempo ordinario.

    43. Il tempo ordinario comincia il lunedì che segue la domenica dopo il 6 gennaio e si protrae fino all'ora nona del sabato che precede la I domenica di quaresima; riprende poi con il lunedì dopo la Pentecoste per terminare prima dei I vespri della I domenica di avvento. Allo stesso modo vengono utilizzati i formulari per le domeniche e le ferie, che si trovano nella Liturgia delle Ore e nel Messale.

    VII.Le litanie maggiori o rogazioni

    44. Con le litanie maggiori o rogazioni, la Chiesa suole pregare il Signore per le necessità degli uomini, soprattutto per i frutti della terra e per il lavoro dell'uomo, e ringraziarlo pubblicamente.

    45. Affinché il tempo e il modo della loro celebrazione possano venire adattate alle diverse situazioni locali e alle necessità dei fedeli, i pastori d'anime col consenso della competente autorità, tenendo presente la situazione locale, stabiliranno le norme relative la modo e all'ora di tali celebrazioni, che potranno protrarsi per uno o più giorni.

    46. La messa per i singoli giorni di queste celebrazioni, si scelga tra quelle per diverse circostanze, che sono più adatte allo scopo delle celebrazioni.


    CAPITOLO II
    IL CALENDARIO

    TITOLO I
    IL CALENDARIO E LE CELEBRAZIONI DA ISCRIVERSI IN ESSO

    47. L'ordinamento generale della celebrazione dell'anno liturgico è regolato dal Calendario, che è comune, ossia che riguarda tutto il Rito ambrosiano, o particolare, in uso di una Chiesa o di una famiglia religiosa.

    48. Nel Calendario comune del Rito ambrosiano come in quello generale di tutta la Chiesa è segnalato il ciclo delle celebrazioni, sia quello relativo al mistero della salvezza nel Proprio del Tempo, sia quello relativo alle feste dei santi, di rilievo universale, e quindi da celebrarsi obbligatoriamente, sia degli altri che hanno un'importanza particolare per i fedeli di Rito ambrosiano. I Calendari particolari contengono le celebrazioni proprie, inserite organicamente nel ciclo generale (13). Quelle diocesi, oltre la diocesi di Milano, che hanno parrocchie di Rito ambrosiano conviene che onorino quei santi di una singola chiesa o famiglia religiosa che per qualche ragione particolari sono loro propri. I Calendari particolari, composti dall'autorità competente, devono essere approvati dalla Sede Apostolica.

    49. Nella composizione dei calendari particolari si devono tener presenti i seguenti principi:

    a)Il proprio del Tempo, cioè il ciclo dei tempi, delle solennità e delle feste, attraverso cui si svolge e si celebra il mistero della redenzione nell'anno liturgico, deve essere conservato integro e deve godere della dovuta preminenza sulle celebrazioni particolari.

    b)Le celebrazioni proprie devono essere in organico accordo con le celebrazioni universali, tenendo presente l'ordine e la precedenza indicate per ciascuna nella tabella dei giorni liturgici. Per non riempire eccessivamente i calendari particolari, i singoli santi avranno una sola celebrazione nell'anno liturgico. Se particolari ragioni pastorali lo richiedessero, si potrà avere una seconda celebrazione in forma di memoria ad libitum per la traslazione o il ritrovamento dei santi Patroni o Fondatori di Chiesa o di famiglie religiose.

    c)Le celebrazioni votive non siano un duplicato di altre celebrazioni già contenute nel ciclo del mistero della salvezza, né il loro numero sia moltiplicato senza ragione.

    50. Il Calendario particolare si compone inserendo nel Calendario generale le solennità, le feste e le memorie proprie, cioè:

    a)Nel Calendario di quelle diocesi che anno parrocchie di Rito ambrosiano, oltre alla celebrazione dei Patroni, e della Dedicazione della chiesa cattedrale, i santi e i beati che hanno un particolare rapporto con la diocesi, ad esempio per esservi nati, per avervi abitato a lungo, per esservi morti.

    b)Nel calendario religioso, oltre alla celebrazione del Titolo, del Fondatore e del Patrono, i santi e i beati, che furono membri della famiglia religiosa, o ebbero particolare relazione con essa.

    c)Nel calendario delle singole chiese, oltre alle celebrazioni della diocesi o della famiglia religiosa, le celebrazioni di quella chiesa elencate nella tabella dei giorni liturgici, e dei santi il cui corpo si conserva nella chiesa stessa. I membri delle famiglie religiose si uniscono alla comunità della Chiesa locale nel celebrare la Dedicazione della chiesa cattedrale e del patrono principale del luogo o del territorio in cui risiedono.

    51. Le celebrazioni proprie siano iscritte nel Calendario come memorie obbligatorie o ad libitum, a meno che, per qualcuna, non sia stabilito diversamente nell'elenco dei giorni liturgici, o ci siano particolari ragioni storiche o pastorali. Tuttavia nulla impedisce che alcune celebrazioni si svolgano in determinati luoghi, in modo più solenne che non in tutta la diocesi o nella famiglia religiosa.

    52. Le celebrazioni iscritte nel Calendario proprio devono essere osservate da tutti coloro che sono tenuti a quel Calendario; e non possono essere mutate di grado o cancellate senza l'approvazione della Sede Apostolica.

    TITOLO II

    IL GIORNO PROPRIO DELLE CELEBRAZIONI

    53. E' stata costante abitudine della Chiesa, celebrare i santi nel loro giorno natalizio: la stessa cosa si osserverà opportunamente anche per le celebrazioni da iscriversi nel Calendario particolare. Tuttavia, benché le celebrazioni proprie abbiano speciale importanza per le Chiese locali o famiglie religiose, è molto opportuno che nella celebrazione delle solennità, feste o memorie obbligatorie, elencate nel Calendario comune, si mantenga il più possibile l'unità. Pertanto, nel fissare il giorno delle celebrazioni proprie nel Calendario particolare, si osserverà quanto segue:

    a)Le celebrazioni che sono elencate anche nel Calendario comune, siano iscritte nel Calendario particolare allo stesso giorno, mutando, se è necessario, il grado della celebrazione. Lo stesso si faccia nell'iscrivere le celebrazioni proprie di qualche chiesa, per quel che riguarda il Calendario diocesano o religioso.

    b)Le celebrazioni dei santi, che non si trovano nel Calendario comune, siano fissate al loro giorno natalizio. Qualora si ignorasse il giorno natalizio, la celebrazione sia assegnata a un giorno che abbia qualche relazione con il santo, per esempio al giorno dell'ordinazione, del ritrovamento delle reliquie, della traslazione; altrimenti in un giorno che, nel Calendario particolare, sia libero da altre celebrazioni.

    c)Se il giorno natalizio o proprio è impedito da un'altra celebrazione obbligatoria, anche di grado inferiore, riportata dal Calendario comune o particolare, venga assegnata al giorno più vicino non impedito.

    d)Se però si tratta di celebrazioni che per motivi pastorali non si possono trasferire in altro giorno, si trasferisca la celebrazione impediente.

    e)Le altre celebrazioni, ossia le celebrazioni votive, siano poste nel giorno più adatto sotto l'aspetto pastorale.

    f)Affinché il ciclo dell'anno liturgico risplenda nella sua piena luce, i giorni in cui abitualmente cade la quaresima e l'ottava di Pasqua, come pure i giorni dal 17 al 31 dicembre, siano lasciati liberi da celebrazioni particolari.

    54. Se alcuni santi o beati sono iscritti insieme nel Calendario, saranno celebrati sempre insieme, anche se qualcuno di essi è più particolarmente proprio. Questo, nel caso che abbiano un medesimo grado di celebrazione. Ma se uno o più di questi santi o beati devono essere celebrati con un grado superiore, si faccia l'ufficio solo di questi, tralasciando gli altri, a meno che convenga assegnarli ad un altro giorno, come memoria obbligatoria.

    55. Per il bene pastorale dei fedeli, nelle domeniche del tempo ordinario nelle quali ricorra una solennità della beata vergine Maria, o di un santo o più santi di precetto, o anche se si tratta del santo Patrono, si può celebrare una messa della beata vergine Maria o del santo alla quale partecipa il popolo.

    56. La precedenza tra i giorni liturgici, in quanto alla loro celebrazione, è regolata esclusivamente dalla successiva tabella.

    57. Se nello stesso giorno cadono più celebrazioni, si fa quello che, nell'elenco dei giorni liturgici occupa il posto superiore, salvo il principio enunciato al n. 4. Tuttavia una solennità impedita da un giorno liturgico che ha la precedenza su di essa, si trasferisce al primo giorno libero da una delle ricorrenze elencate nella tabella delle precedenze ai nn. 1-10 tenuto presente quanto è prescritto al n. 4 delle Norme. Le altre celebrazioni per quell'anno si omettono.

    58. Se nello stesso giorno venissero a coincidere i vespri dell'ufficio corrente e i primi vespri del giorno seguente, prevalgono i vespri della celebrazione che nella tabella delle precedenze è posta per prima; in caso di parità, prevalgono i vespri del giorno seguente. I secondi vespri tuttavia prevalgono sempre sui vespri della beata vergine Maria e dei santi.


    » Qui potete raggiungere la tabella dei giorni liturgici, disposti secondo l'ordine di precedenza.





    1.Cf. SC 102-105
    2.L'antico rito ambrosiano non aveva secondi vespri; in epoca più recente furono introdotti, ma con rito più semplice dei primi vespri e soltanto in determinati giorni. Le memorie non ebbero mai i secondi vespri; nelle più solenni feste dei santi, come i patroni titolari, si ebbero sempre i primi vespri con particolare solennità, celebrati fino ad oggi con le vigilie. La cosa appare chiara nella festa di san Carlo assegnata al 4 novembre nonostante che il santo fosse morto nelle ore vespertine del giorno 3
    3.Cf. SC 106
    4.Cf. SC 103-104
    5.Cf. SC 102
    6.Cf. SC 5
    7.Cf. SC 106
    8.Cf. PAOLO VI, Costituzione Apostolica Paenitemini, 17 febbraio 1966, II,3: AAS 58 (1966) 184
    9.Cf. SC 110
    10.S. AGOSTINO, Sermo 219: PL 38,1088
    11.S. ATANASIO, Epist. fest. 1: PG 26,1366
    12.Cf. SC 109
    13.Istruzione Calendaria particularia, 24 giugno 1970: AAS 62 (1970) 651-663

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